In controtendenza rispetto agli scenari più apocalittici, dall’Onu arrivano rassicurazioni sugli effetti dell’Intelligenza artificiale. Secondo uno studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, l’IA potrebbe aumentare l’occupazione, piuttosto che distruggerla, dal momento che la maggior parte dei settori industriali sarà coinvolta solo in parte dai processi di automazione ed è più probabile che i posti di lavoro vengano integrati invece che sostituiti.
L’impatto dell’intelligenza artificiale generativa in altre parole riguarderà soprattutto la qualità del lavoro, modificandone aspetti come l’intensità e l’autonomia.
Secondo il rapporto dell’Ilo, a rischiare di più il posto sono i lavoratori del settore impiegatizio mentre per altre categorie – tra cui dirigenti, professionisti e tecnici – solo una quota marginale delle posizioni dovrebbe essere coinvolta.
Lo studio registra notevoli discrepanze a livello globale per effetto dei diversi livelli di sviluppo, delle strutture economiche e dei divari tecnologici esistenti nei singoli Paesi. L’analisi mostra come il 5,5% dell’occupazione totale nei Paesi ad alto reddito sia potenzialmente esposto agli effetti dell’automazione tecnologica, una percentuale che nei Paesi a basso reddito scende allo 0,4%.
D’altra parte l’IA sembra avere lo stesso effetto nei diversi Paesi in termini di aumento potenziale dei posti di lavoro, confermando come la tecnologia possa rappresentare un volano per la crescita delle economie in via disviluppo.
Uno scenario, quello dell’Ilo, confermato dal rapporto Future of Work di LinkedIn. Secondo i dati diffusi nei giorni scorsi, gli annunci di lavoro relativi all’intelligenza artificiale sono aumentati a livello globale di 21 volte dallo scorso novembre a oggi, da quando cioè OpenAI ha lanciato il suo ChatGPT.
Parallelamente il rapporto ha registrato un aumento dei profili che includono competenze legate all’IA, un segno che gli utenti vedono nella nuova tecnologia un’opportunità di carriera.
Come sottolineano gli autori, l’intelligenza artificiale generativa è destinata a cambiare il modo in cui lavoriamo ma questo non significa “necessariamente” la perdita di posti di lavoro. È più probabile, suggeriscono, che all’IA verranno affidate le mansioni un tempo eseguite dagli umani, come l’analisi dei dati. “I nuovi strumenti rappresentano un’opportunità per alleggerire il carico di lavoro e aiutare i professionisti a focalizzarsi sugli aspetti più importanti del proprio lavoro”
Il futuro però è lastricato di incognite e non necessariamente sarà radioso. Ci vorranno anni per stabilire il reale impatto dell’intelligenza artificiale sull’occupazione. Intanto alcuni studi hanno tentato di capire cosa ci aspetta.
Un report pubblicato dal World Economic Forum lo scorso maggio ha stimato una perdita netta di posti di lavoro pari a 14 milioni nei prossimi tre anni, tra quelli creati e quelli cancellati.
Numeri decisamente più preoccupanti quelli di Goldman Sachs, che ha pronosticato 300 milioni di posti di lavoro a tempo pieno in fumo a causa dell’IA. Secondo la banca d’affari, sono un quarto le attività lavorative negli Stati Uniti e in Europa che potrebbero essere sostituite totalmente dall’intelligenza artificiale.
A rischiare di più nel Vecchio continente sarebbero nell’ordine gli impiegati amministrativi, i professionisti e i tecnici. Anche negli Stati Uniti la categoria più soggetta all’automazione dell’IA è costiuita dagli impiegati d’ufficio, seguiti dai lavoratori del settore legale, gli architetti e gli ingegneri. A dormine sonni più tranquilli invece dovrebbero essere gli operai del settore edilizio, gli addetti alle pulizie e i tecnici della manutenzione.
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