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Coronavirus, la storia di Nerola: da zona rossa a provetta d’Italia

(Roma). Dalla disperazione alla speranza, dal panico all’esempio. Un esempio che potrebbe non solo essere imitato sull’intero suolo nazionale, ma rappresentare il primo vero passo per un cambio di strategia nella battaglia contro il Coronavirus. Questo sono stati i 17 giorni di Nerola, splendido paesino incastonato sui Monti Sabini, uno dei tanti gioielli sparsi per il nostro Paese, che esiste dai tempi di Nerone e conserva il suo castello che scruta dal X secolo l’evolversi delle generazioni.

Era il 23 marzo quando la vita di Nerola cambiò drammaticamente a causa del Coronavirus. Ma il paesino, ultimo avamposto della città metropolitana di Roma Capitale prima della provincia di Rieti, ha trovato il modo di reagire nella maniera migliore. “Il 25 marzo Nerola è stata dichiarata zona rossa, poiché il 23 marzo alcuni tamponi della casa di riposo (Maria Santissima Immacolata, ndr) hanno rilevato 56 pazienti positivi al Coronavirus e 16 dipendenti, per un totale di 72 persone“: così il sindaco Sabina Granieri ripercorre la storia del paese. L’inizio del suo incubo.

Nerola: comune chiuso per Coronavirus

“Mi ha chiamato il prefetto dicendomi che l’incidenza era troppo alta per un comune così piccolo – ricorda ancora -. Così è stata creata la zona rossa. Possono entrare solo sanitari, forze dell’ordine e generi alimentari e medicinali che devono rifornirci all’interno”.

Diventare uno dei fulcri del centro Italia del contagio da Coronavirus è stato comunque un brutto colpo: “C’è stato un momento di panico – ammette Sabina Granieri -. La gente mi chiamava perché era spaventata”. Ma “dal primo momento mi sono battuta per avere tamponi per tutti. Non era uno slogan, la nostra comunità è ristretta. Trattandosi di sole 1900 persone si potevano fare. Così da andare a trovare l’eventuale asintomatico positivo e bloccare la catena di contagio”, racconta.

Un laboratorio contro il COVID-19

“Nerola poteva diventare un vero e proprio laboratorio. La proposta è stata raccolta dall’Istituto Spallanzani. Non hanno effettuato solo il tampone classico, ma anche il test sierologico e il pic sotto il dito. Siamo stati quindi importanti a livello sperimentale”, spiega la sindaca.

I due test alternativi possono costituire le chiavi per affrontare il Coronavirus con nuovi mezzi: “Si tratta di test importantissimi, perché il pic è un test rapido che potrebbe andare a sostituire il tampone e sarebbe fenomenale. Il sierologico invece va a capire l’evoluzione del virus e eventuali anticorpi“.

E l’esperimento sembra funzionare: “Ad oggi, su 760 tamponi, solo 7 sono positivi. Si tratta peraltro di casi sempre legati alla casa di riposo. Possiamo dunque dire che il contagio sia stato fermato in tempo“.

Redazione

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