Un’importante sentenza della Corte Costituzionale potrebbe rivelarsi molto importante. Il tema è quello del carcere per i giornalisti. La Consulta ha infatti esaminato le questioni sollevate dai tribunali di Salerno e di Bari sulla legittimità costituzionale della pena detentiva prevista per la diffamazione a mezzo stampa. Ha dichiarato così illegittimo l’articolo 13 della legge sulla stampa del 1948, che finora determinava obbligatoriamente “la reclusione da uno a sei anni in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato”.
Tuttavia la Consulta ha invece ritenuto compatibile con la Costituzione l’articolo 595 del Codice penale, che “prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa”. Quest’ultima norma, spiega la Corte Costituzionale in un comunicato, consente infatti al giudice di sanzionare con la pena detentiva soltanto i casi di eccezionale gravità.
Sul carcere ai giornalisti, la Corte ha sottolineato inoltre che “resta peraltro attuale la necessità di un complessivo intervento del legislatore, in grado di assicurare un più adeguato bilanciamento (che la Corte non ha gli strumenti per compiere) tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione individuale, anche alla luce dei pericoli sempre maggiori connessi all’evoluzione dei mezzi di comunicazione”. Sono problemi che aveva già sollevato un anno fa: il 9 giugno del 2020, infatti, aveva dato al Parlamento 12 mesi di tempo per riscrivere le norme sulla diffamazione. I dodici mesi, però, sono nel frattempo scaduti. Le Camere non si sono mai riunite a discutere su questo argomento.
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