Una soporifera scampagnata: la frazione di ieri (voto 2: non al tracciato, ma all’interpretazione) con arrivo a Privas è di quelle che fanno salire il cattivo. Si trattava di un percorso con lievi pieghe nell’altimetria, destinato a uno sprintone di gruppo su un semicurvone un po’ all’insù. Un format che il Tour de France, in un secolo e passa di storia, ha proposto centinaia di volte. Con copione consolidato: fuga, più o meno numerosa, e compagini dei velocisti in testa al gruppo a mulinare. Ieri, invece, abbiamo assistito a una cicloturistica insopportabile: non uno scatto, non una scorribanda, non una stilla di effervescenza fino ai 17 km dall’arrivo.
Solo a quel punto è successo qualcosa, ma ce ne siamo accorti parecchio dopo, coi corridori già in fase defaticante. Lou-Lou Alaphilippe (voto 4: un pollo) ha preso una borraccia da un massaggiatore, a favore di cineprese ufficiali della regia internazionale. Una fesseria, appunto, da cicloturista della domenica: dal cartello dei 20 al traguardo il regolamento vieta di rifornirsi. A chiare lettere. Una cazzata abnorme, che a D’Artagnan è costata 20 secondi di penalizzazione. E la maglia gialla.
A stappare la magnum di champagne in giallo sul palco del Tour de France ci è andato così Adam Yates (voto 7: rinato). Il britannico che nel 2016 fece sua la maglia bianca dei giovani, per poi perdersi e lasciare i fari della ribalta al gemello Simon, si è ritrovato. Non è da podio: nel primo arrivo in salita ha sudato le canoniche sette camicie, e con ogni probabilità cederà il simbolo del primato già oggi. Però, rispetto alle ultime due stagioni, si è scrollato di dosso l’apatia.
Ritorniamo però alla mesta biciclettata di ieri. Arrivati al rush finale, tutti si aspettavano una tenzone tra Sam Bennett (voto 6) e Caleb Ewan (voto 4, imbottigliatissimo). Invece a duellare sono finiti il sorprendente Cees Bol (voto 8, ma il treno della sua Sunweb merita un 9,5) e Wout Van Aert (voto 18, come il suo numero di corsa), che l’ha spuntata in colpo di reni. Iniziamo a scarseggiare di aggettivi per descrivere questo portento prodotto delle Fiandre. In questo pazzo 2020 post-lockdown, il belga ha razziato la Strade Bianche, la Milano-Sanremo, la prima tappa del Delfinato e ora la quinta della Grande Boucle. Fa gli sprint di gruppo, ha doti da finisseur nato e tira come un dannato in salita per Roglic, manco avesse la bici a pedalata assistita. Un fenomeno: a 26 anni non ancora compiuti, è destinato a fare scorpacciate di grandi classiche.
Insomma, viviamo una tirannia della Jumbo-Visma (voto 8) fin qui al Tour de France. Il team di Roglic, Dumoulin, Van Aert, Gesink e compagnia pedalante è davvero un settimo cavalleggeri per forza e completezza. Gli altri 21 team, però, non si sciupano più di tanto: va rimarcato. Quello di ieri è stato molto simile a un giorno di riposo per tutti. Un quieto pomeriggio sui rulli e poco più. Avanti così, i gialloneri diretti da Zeeman avranno vita facile. In casa Italia nulla da fare per Nizzolo (voto 6 meno): il meneghino dorme male e non è quello di dieci giorni fa. Gli altri vivacchiano.
Oggi si parte a Le Teil e si arriva a Mont Aigoual: tappa di 199 km dal finale scorbutico con pendenze aspre. A 25 km dal traguardo c’è il Col de la Lusette, salitaccia con punte di pendenza all’11%, ma dal Gpm la strada spiana solo un attimo per poi salire ancora fino all’arrivo. Nella speranza che qualcuno almeno domani agiti le acque un po’ prima, è probabile che nel finale entreranno in scena i big. Tutti i candidati al podio non potranno steccare: una semi-cotta oggi si paga salatassima.
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