Nei giorni caldi il cui il mondo del calcio non fa altro che parlare (e interrogarsi) sulla Superleague, una lezione su quello che di simile è già accaduto potrebbe arrivare dal basket. Un terremoto simile, infatti, avvenne più di 20 anni fa con la pallacanestro. E più che con l’NBA (che prevede, come differenza fondamentale al momento, il tetto salariale) la Superleague sembrerebbe assomigliare molto di più all’Euroleague.
L’inizio della lunga storia dell’Euroleague
Nel 2000 nacque la moderna Euroleague Basketball che prese, di fatto e di forza, il comando della principale competizione per club a livello continentale. Proprio in quel periodo la federazione internazionale (FIBA) stava per varare un nuovo modello di competizione: la SuproLeague. Definita la realizzazione di un sogno dall’allora segretario generale, Boris Stankovic, veniva invece avvertita come un incubo dai maggiori club europei, che misero in piedi in pochi mesi un nuovo modello di competizione iniziando una battaglia tutt’ora in corso con le massime istituzioni sportive.
Se nel caso della European Superleague del calcio è JP Morgan a essere la finanziatrice, l’Eurolega nel 2000 aveva Telefonica, che garantiva allora 35 milioni annui per cinque anni da distribuire ai club. Telefonica aveva un doppio ruolo: quello di “banca” e quello più attivo nella commercializzazione dei diritti media. Di produzione e distribuzione del prodotto si occupava invece Mediapro. I tre soggetti (Euroleague Basketball, Telefonica e Mediapro) fondarono Euroleague Marketing con lo scopo di unirsi nella gestione di questo cruciale comparto. Un anno dopo la scissione i rapporti tra Euroleague Basketball e FIBA si erano poi normalizzati attraverso un accordo che dalla stagione 2001/02 aveva permesso di unificare nuovamente un’unica competizione a incoronare il campione d’Europa.
La prima svolta
Dopo la stagione 2004/2005 si assiste a una prima vera svolta. Euroleague Basketball decide di gestire internamente i propri asset commerciali a partire dai diritti televisivi, agendo così in prima persona nello sviluppo del proprio piano industriale. Tutto questo di pari passo alla ricerca di un equilibrio soprattutto finanziario, provando a garantire il maggior numero possibile di partite sia alle tv che ai club. Dando loro modo di contare su maggiori incassi al botteghino e un prodotto molto più appetibile per gli sponsor.
Si è cercato di introdurre meccanismi di partecipazione pluriennale per dare anche ai club la possibilità di programmare gli investimenti, non solo sul campo: prima attraverso un sistema di ranking che andava a premiare la continuità di risultati a livello nazionale garantendo una licenza di tipo triennale (o annuale in caso di “semplice” qualificazione al termine di una singola stagione), poi arrivando al secondo grande scontro con FIBA e le federazioni nazionali nel 2014. Patrick Baumann, segretario generale FIBA dal 2002 al 2018, ha infatti un piano: introduce un nuovo calendario dell’attività delle Nazionali che andava a inserirsi con due finestre all’interno della stagione sportiva e non più solo in estate. Il suo obiettivo è quello di “riprendersi” il basket di alto livello in Europa e non solo, ma questo suo tentativo viene rispedito al mittente da Euroleague.
Uno scontro che assomiglia molto a quello tra UEFA e Superleague
Nel 2015 Euroleague Basketball assegna licenze decennali a 11 club (Anadolu Efes Istanbul, Baskonia Vitoria, CSKA Mosca, Barcellona, Fenerbahçe Istanbul, Maccabi Tel Aviv, Olimpia Milano, Olympiacos Pireo, Panathinaikos Atene, Real Madrid e Zalgiris Kaunas). La FIBA decide di promuovere una nuova competizione denominata Basketball Champions League e ricattare giocatori e club affinché disertassero l’Eurolega, minacciandone l’esclusione dagli Europei del 2017. Non servì a molto, perché nei primi mesi di quell’anno le squadre di diversi paesi (Italia, Francia, Turchia su tutti) presero posizione in favore del binomio Eurolega-Eurocup di ULEB attraverso dei contratti di partecipazione garantita a queste competizioni. La lite è proseguita davanti alla Commissione Europea, dove entrambi gli enti hanno presentato denuncia.
La FIBA ha addotto che una simile associazione a numero chiuso avrebbe inevitabilmente minato la concorrenza nel mercato a causa della posizione dominante. l’ULEB d’altro canto ha fatto presente che il monopolio della FIBA nell’organizzazione di competizioni per nazionali non potesse essere usato come strumento per lanciare il proprio torneo per club. La Commissione non ha mai provveduto ad aprire un’indagine ufficiale sulla questione. Probabilmente solo la Corte di Giustizia Europea sembra l’unico ente in grado di poter dire l’ultima parola sulla questione.
Cosa l’Euroleague può insegnare alla Superleague e al calcio
Comunque la si pensi, l’Eurolega ha di fatto imposto un nuovo modello: meno squadre, più partite. Più partite con maggiori incassi. Innegabile anche il fatto che gli investimenti delle squadre di Euroleague hanno portato altri a investire per essere competitor nazionali e non solo (Virtus Bologna e la Reyer Venezia capace di vincere due scudetti sono ottimi esempi). Rimane senza dubbio la questione della “competizione chiusa”, ma è anche vero che Euroleague Basketball ha spinto i club e le leghe verso una maggiore professionalizzazione nella gestione delle società, della comunicazione, del marketing, degli impianti e degli eventi, con regole sempre più stringenti sulle capienze minime e i servizi da offrire. Il risultato finale è che Euroleague Basketball è oggi la seconda più importante e attrattiva competizione per club dopo la NBA. La Superleague (e il calcio in generale) possono ora tranquillamente prendere appunti.