SPORT

Quel pasticciaccio brutto degli stadi aperti Oltremanica

Se non esistono più le mezze stagioni, il Covid-19 ha riportato in auge le mezze misure. Le quali però, lo abbiamo visto, in tempi di pandemia sono diversamente efficaci. L’Inghilterra, madrepatria del giuoco in cui gli arcinoti 22 in mutande corrono appresso a una palla, ha optato per gli stadi aperti da questa settimana. In Arsenal-Rapid Vienna, match di Europa League di ieri stravinto dai Gunners per 4-1, sono tornati a spalancarsi i cancelli dell’Emirates Stadium, serrati da marzo. In un paese sempre più mogio per la molestia del virus, la decisione era attesissima, ma ha finito per creare più brusii e fitte intestinali che giubilo tra gli addetti ai lavori.

Inghilterra, stadi aperti a seconda delle fasce

La perfida Albione, per editto del suo condottiero platinato Boris Johnson, ha suddiviso il suo territorio in tre fasce. Un remake meno variopinto di quelle in cui sono suddivise le regioni italiane, per intenderci. Si va dalla fascia Tier 1, vale a dire quella che riguarda le aree dove l’intensità virale è più blanda, a quella Tier 3, dove invece il Covid-19 colpisce ancora con forza e miete vittime. In mezzo c’è la Tier 2, un corrispettivo delle nostre regioni arancioni, terre di mezzo della viralità. Ed eccoci agli stadi: i team che giocano in fascia 1, possono accogliere sugli spalti 4mila spettatori. Quelli nella 2 la metà, vale a dire 2mila. Gli altri continueranno a udire i latrati del loro portiere tra seggiolini deserti.

Bello no? Manco un po’. Dalla Premier fino alla League Two, che sarebbe la gemella della serie D nostrana, questo assaggino di riapertura ha generato più grane e improperi che vantaggi e “wow”. Un pasticciaccio brutto, che ha fatto letteralmente avvelenare le compagini che si trovano in Tier 3, vedi le due di Manchester, Leicester, Newcastle, Leeds e tante altre ancora dei primi quattro campionati inglesi. Ma che ha scatenato acidità e mal di pancia anche tra i club che invece possono tornare a vendere biglietti. Per i quali, tranne qualche rara eccezione, vige l’immarcescibile meccanismo del “chi prima arriva, meglio alloggia”. Tra le dirigenze di queste squadre è stato tutto un lamento in questi giorni, salito di tono più si scende di categoria.

Mascherine, zero cori e zero cibo

Prima di tutto, i fortunati che riescono ad acquistare il biglietto, sono fortunati fino a un certo punto: mascherina per 90 minuti più recupero, zero canti, zero cori, zero movimenti, zero cibo, zero alcolici. Manca solo che li mettano in ginocchio sui ceci. Ora, è noto a tutti che negli stadi inglesi gli introiti da luppolo abbiano vissuto negli anni andamenti ondulatori, per le severe leggi anti-violenza che sono arrivate a vietare anche la vendita di birra in passato. Però, in terra anglosassone, la partita di calcio è un consumo che genera altri consumi: al bar ci si va. E nelle categorie inferiori soprattutto, i tanti pound che arrivano dai chioschi non sono una quisquilia.

E ancora: dallo Stanford Bridge all’Old Trafford, arrivando ai campi sportivi di provincia, i sudditi di sua maestà stanno particolarmente attenti al servizio d’ordine. Steward e addetti alla sicurezza ci sono ovunque e in battaglioni copiosi, e sono figure professionali che incidono sui budget societari. Riattivare i drappelli per poche migliaia di infreddoliti possessori di “ticket”, costretti peraltro alla pseudo-paralisi di cui sopra all’interno della struttura, diventa un salasso al quale molti club rinuncerebbero volentieri. Anche perché questi lavoratori ora non si trovano facilmente, visto che le agenzie di security hanno sfoltito e non poco il personale in questo 2020.

Stadi aperti: una scelta sconsigliata

Tutte spese che si aggiungono poi a sanificazioni, test rapidi laddove ci sono, termoscanner, controlli per il personale e via dicendo. Insomma, un tentativo che per ora pare più sgangherato e maldestro che fruttuoso. E’ chiaro: anche dalle parti nostre, si scalpita nell’attesa di poter tornare allo stadio. Assistere a un’intera stagione pallonara, quella 2020-2021, a gradoni completamente vuoti, è di una tristezza senza pari. Però il funesto bollettino giornaliero dei morti, almeno in Italia, sconsiglia di replicare il timido e sbiadito tentativo in atto Oltremanica.

Anche perché, fattore non secondario, sportivamente è particolarmente iniquo, come ha rimarcato quella linguaccia biforcuta di Marcelo Bielsa. Il suo Leeds in casa giocherà ancora a porte sbarrate, poi magari in trasferta ad Anfield Road dove si troverà 4 mila tifosi del Liverpool. Che seppur sussurrando, sono sempre i tifosi del Liverpool, il meglio su scala globale. Da qui a giugno, forse, è più indicato farsi bastare il piccolo schermo e le grida belluine dei giocatori. Perché ormai dovremmo averlo imparato: al Covid-19 piacciono pochissimo il quasi, il pressappoco e la mezza misura.

Valerio Mingarelli

Nato a Fabriano, ai piedi degli Appennini, nel 1980. Ho iniziato a “gattonare” nelle testate locali umbre e marchigiane grazie al basket e al calcio. Giornalista professionista dal 2008, da allora tra Milano e Roma ho sempre fatto il viandante dell’informazione girovagando per radio, TV, quotidiani, agenzie e uffici stampa. Con la penna o col microfono in mano, mi sono sempre divertito da matti. Oggi seguo perlopiù le vicende del Parlamento nostrano, ma lo sport rimane sempre una passionaccia elettrizzante.

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