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Calcio

Serie A, hanno tutti ragione: giocare a ‘obtorto protocollo’ o requiem?

I due mesi più claustrofobici delle nostre vite sono (forse) alle spalle. Certo, ci aspettano tante altre sessioni bibliche di divano. E per la pizza, dovremo ancora accontentarci dei grumosi e ipersalati tentativi fai da te. Dal 4 maggio, però, se non altro riassaporeremo la sensazione di stare un po’ più a briglia sciolta. Chi per lavoro, chi in visita a fratelli, fidanzate, nipoti, zie e trisnonne. Si parla tanto di affetti stabili: almeno per le prossime settimane, l’impressione è che tra quelli stabilissimi rimarranno solo guantini e mascherine. Oltre all’indefesso personal trainer che da Youtube ci indica la via per rassodare i glutei e smaltire i pantagruelici pasti da reclusi.

Il calcio, quello sì, per milioni di persone è un affetto stabile. Mai come in questi due mesi ce ne siamo resi conto. Le crisi di astinenza ogni giorno di più danno luogo a deliri, capricci e genuine castronerie. In più, stringe il cuore la nonchalance con cui si dibatte di calciomercato su giornali e portali, come se il lutto fosse impossibile da elaborare. Di qualcosa bisognerà pur parlare, chiaro. Ma farneticare ora dopo ora di cessioni e prestiti onerosi, fa venire alla mente i violoncellisti dell’orchestra del Titanic, infaticabili nel seguire lo spartito mentre la nave colava a picco. Il campionato ci manca, c’è poco da fare.

La Lega serie A ha deliberato: compatti alla meta. I venti “patron” debbono essersi cimentati in videoconferenza in una sorta di danza modello “Haka” degli All Blacks, pur di caricarsi e autoconvincersi a ultimare il torneo. Con le buone o con le cattive. Hanno torto? Ovvio che no. C’è l’ultimo stock di milioni delle tv ancora in ballo (233 circa). C’è un’impalcatura economica che rischia di venire giù. Ci sono i private equity (vedi Blackstone e simili), coi loro elicotteri pieni di banconote, che volteggiano attorno alla serie A. E a seguire (copyright un accorato Ciro Immobile), c’è tanta gente che campa di calcio con quattro spicci e rischia di finire a pane e cipolla, se va bene. Infine, c’è la non secondaria questione del merito sportivo. Il diritto del Benevento di vedersi riconosciuta la promozione in A e, ça va sans dire, quello del Brescia di non vedersi sancita la retrocessione in B.

Poi però c’è l’esecutivo. Che tra mille “cetrioli” impellenti, dovrà capire come reagirà il Paese dopo aver premuto il tasto “riavvia”. C’è la Figc, con Gravina riottoso a far suonare il requiem per la stagione 2019-2020, costretto però a sbirciare con la coda dell’occhio la Ligue 1 francese. La quale ha decretato il rompete le righe e fissato la nuova geografia dei campionati a tavolino, coi team avvelenati e pronti a scatenare l’iradiddio. Ci sono poi i giocatori: da un lato vogliono tutti rinfilarsi i calzettoni, dall’altro però chiedono sicurezza. Perché nessuno vuole provare il Coronavirus sulla propria pelle.

In questo centrifugato di interessi e pensieri, di smanie e pareri, hanno tutti ragione. E ognuno tira giustamente acqua al suo mulino. Una ripartenza sarà “obtorto” protocollo: alla fine saranno proprio le regole d’ingaggio sanitarie (e non) a fare la differenza. Diciamocelo: il rischio di dar vita a uno scenario surreale è elevato. Lo abbiamo già scritto: separare la fascia destra dal centrocampo col plexiglass per evitare assembramenti non è possibile. Far vivere i giocatori come monache carmelitane scalze, in ritiri blindati e con una profilassi da maniaci del pulito, è complicato oltreché costoso. E come ha detto Antonio Conte, non si sa fino a che punto utile.

Ogni partita, inoltre, coinvolgerà circa 300 persone. Cioè 3 mila a giornata di campionato. Come le controlleremo? E le sanificazioni? Si sparerà amuchina con gli estintori in spogliatoi e ritiri? Se un giocatore risulterà positivo? Rifermeremo tutto? E ancora: si ripartirà ad andar lisci il 14 giugno per chiudere il 2 agosto. Se salterà un match verrà recuperato a biliardino? O alla Playstation? Sarà caldo, e i campi diverranno altoforni: ci saranno cinque sostituzioni? Portieri volanti no?

Di fronte a tanti quesiti, uno è il babbo di tutti gli altri. Meglio un buco nell’albo d’oro o un buco nell’acqua?

Valerio Mingarelli

Nato a Fabriano, ai piedi degli Appennini, nel 1980. Ho iniziato a “gattonare” nelle testate locali umbre e marchigiane grazie al basket e al calcio. Giornalista professionista dal 2008, da allora tra Milano e Roma ho sempre fatto il viandante dell’informazione girovagando per radio, TV, quotidiani, agenzie e uffici stampa. Con la penna o col microfono in mano, mi sono sempre divertito da matti. Oggi seguo perlopiù le vicende del Parlamento nostrano, ma lo sport rimane sempre una passionaccia elettrizzante.

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