SALUTE

Influenza aviaria, come si diffonde? È pericolosa per l’uomo?

L’influenza avaria è una malattia che colpisce quasi tutti gli uccelli, anche se con manifestazioni piuttosto diverse. Può insorgere in una forma leggera ma anche dare vita a delle epidemie acute. È diffusa in tutto il mondo ed è causata da un virus dell’influenza di tipo A, che può essere a bassa o alta patogenicità. In quest’ultimo scenario, i sintomi insorgono all’improvviso e l’animale muore rapidamente in quasi il 100% dei casi. Per fortuna solo pochi ceppi del virus dell’influenza aviaria causano gravi malattie nei volatili e il numero di quelli che possono infettare gli esseri umani è ancora più ridotto. Nel corso degli anni l’uomo ha preso varie precauzioni per ridurre il rischio di un passaggio dell’agente virale da una specie all’altra.

Foto | Pixabay @Alexa

Le possibili fonti di contagio

Le anatre selvatiche tendono a ospitare vari sottotipi del virus dell’influenza aviaria e rappresentano una delle principali cause di contagio del pollame da allevamento. In alcuni Paesi asiatici la diffusione del patogeno è stata favorita dalla vendita di pollame vivo nei mercati. È stato dimostrato, inoltre, che il virus può essere trasmesso da un’azienda all’altra tramite vari strumenti da lavoro, mangimi e gabbie. Ciò che rende l’influenza aviaria insidiosa è la capacità dei ceppi virali a bassa patogenicità di mutare dopo aver circolato anche per un tempo relativamente breve in una popolazione di pollame, diventando più pericolosi. In passato ciò ha reso necessario l’abbattimento di milioni di uccelli da allevamento per tenere sotto controllo la pandemia. Le epidemie di influenza altamente patogenica sono sempre state causate da virus di tipo A dei sottotipi H5 e H7.

L’influenza aviaria è pericolosa per l’uomo?

La maggior parte dei casi umani di infezione da influenza aviaria sono stati causati dal contatto diretto con volatili infetti e superfici o materiali contaminati. Solo in rarissimi casi è stata riscontrata la trasmissione della malattia da una persona all’altra. I prodotti derivanti dall’avicoltura non rappresentano un fattore di rischio, a patto che siano cotti in modo adeguato prima di essere consumati. Esistono quindici sottotipi di virus aviari, ma solo quattro di essi si sono rivelati in grado di infettare gli esseri umani: H5N1 (dal 1997), H7N9 (dal 2013), H5N6 (dal 2014) e H5N8 (dal 2016).

Anche se non si diffondono da un individuo all’altro, nel corso degli anni questi agenti virali hanno causato varie infezioni e dei decessi. Tra i quattro sottotipi, H5N1 è il più preoccupante per via della sua capacità di mutare con rapidità e di acquisire geni da virus che infettano altre specie animali. Nel corso degli anni ha acquisito la capacità di contagiare gatti, topi e maiali.

Quali sono i sintomi nell’uomo?

Nell’uomo i sintomi dell’influenza aviaria si manifestano da 2 a 7 giorni dopo l’infezione. Di solito non sono molto diversi da quelli delle sintomi simil-influenzali. L’elenco include febbre (spesso alta), mal di testa, tosse, mal di gola, dolori muscolari e diarrea. Alcune malattie associate all’influenza aviaria sono le infezioni oculari, le infezioni a carico dell’apparato respiratorio e le encefaliti.

Come riconoscere gli uccelli malati

Quando gli uccelli contraggono una forma ad alta patogenicità dell’influenza aviaria possono manifestare un’ampia gamma di sintomi. La loro testa può risultare gonfia, per esempio, e gli occhi chiusi o eccessivamente umidi. Il virus può causare anche tremori, emorragie, perdita di appetito, aumento o riduzione del consumo d’acqua (che si manifesta all’improvviso), starnuti, aumento della temperatura corporea, cessazione o notevole riduzione della produzione di uova.

Come si cura l’influenza aviaria nell’uomo?

Esistono alcuni farmaci per il trattamento o la prevenzione di un’infezione umana da virus dell’influenza aviaria. Le ricerche condotte nel corso degli anni hanno indicato la possibile l’efficacia di alcuni antivirali, tra cui gli inibitori della neuraminidasi (oseltamivir e zanamavir). Quest’ultimi sembrerebbero in grado di ridurre la durata della replicazione virale e migliorare le prospettive di sopravvivenza. Tuttavia per dimostrarne l’efficacia in modo incontrovertibile saranno necessari ulteriori studi clinici. Inoltre, in alcuni casi il virus si è rivelato resistenze all’oseltamivir. Il ministero della Salute spiega che, nei casi sospetti e confermati, gli inibitori della neuraminidasi devono essere prescritti appena possibile (possibilmente entro 48 ore dall’insorgenza dei sintomi), in modo da massimizzarne i benefici terapeutici.

Photo by Dr John Bingham, CSIRO licensed under CC BY 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/3.0/deed.en)

Tuttavia, data la significativa mortalità attualmente associata alle infezioni da sottotipi virali A(H5) e A(H7N9) e l’evidenza di una prolungata replicazione virale, la somministrazione del farmaco dovrebbe essere presa in considerazione anche nei pazienti che si trovano in fasi tardive della malattia”. Il trattamento è raccomandato per un minimo di cinque giorni.

Alessandro Bolzani

Cresciuto a pane e libri, nutro da sempre una profonda passione per la scrittura e il mondo dei media. Dal 2018 sono redattore (o copywriter, come dicono quelli bravi) per alcuni grandi editori italiani occupandomi principalmente di salute e benessere, scienze e tecnologia. Nel 2019 ho debuttato come autore con il romanzo urban fantasy "I guardiani dei parchi", edito da Genesis Publishing.

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