“Si è discusso molto sulla natura di questo governo. La storia repubblicana ha dispensato una varietà infinita di formule. Nel rispetto che tutti abbiamo per le istituzioni e per il corretto funzionamento di una democrazia rappresentativa, un esecutivo come quello che ho l’onore di presiedere, specialmente in una situazione drammatica come quella che stiamo vivendo, è semplicemente il governo del Paese. Non ha bisogno di alcun aggettivo che lo definisca”.
Così parlò Mario Draghi non più tardi di due giorni fa in Senato in occasione della richiesta di fiducia al nuovo esecutivo. “Niente aggettivi”, quindi, da associare alla parola “governo”: basta quello “del Paese”. Eppure, solo nelle ultime settimane molti giornalisti e analisti si sono impegnati a ricercare dei termini o delle espressioni che potessero descrivere meglio la natura della squadra dei ministri guidata dall’ex presidente della Bce.
Aggettivi che partivano dall’interrogativo se questo governo fosse più politico o tecnico. Se fosse stabile oppure solo elettorale. Di scopo, ma non per questo breve. Di alto profilo e di rottura; ancorché non necessariamente della discontinuità. Su una cosa, però, tutti sono d’accordo: si tratta di un governo di larghe intese. Anzi: di ampia maggioranza, di grande coalizione. Financo bulgaro.
E, mi raccomando: non si dica dell’inciucio, del ribaltone o (peggio mi sento) delle ammucchiate. Perché è un governo del Presidente, nonché istituzionale. Dei Professori; forse pure dei Prefetti, ma anche (perché no) dei Migliori. Con la ‘M’ forzatamente maiuscola.
È di garanzia, di responsabilità, di solidarietà, di unità nazionale, ma (si badi bene) non è detto che sia a tempo, a termine. O di durata. Perché l’orizzonte rimane comunque quello di legislatura. Lo si potrebbe definire persino un governo delle regole; delle riforme. Un governo un po’ costituente, europeista, di vasto programma, ma sempre a guida economica e (ovviamente) di ampio respiro internazionale. È neutro (o neutrale, che dir si voglia), ma del resto deve essere soprattutto un governo salvagente.
C’è chi ha voluto leggerissimamente drammatizzare la situazione. Sì, certo sarà sicuramente un governo patriottico, di garanzia, di necessità, di servizio; di desistenza, di tregua, di ricostruzione. Ma ha soprattutto un carattere di emergenza, di urgenza, di salute pubblica. Insomma: si tratta di un governo di salvezza nazionale.
Dimentichiamoci quindi tutte le formule del passato: addio quindi al governo ponte, al governo bis o ter (con tanto di rimpasto) e addio ad aggettivi come sfiduciato, uscente, dimissionario, reggente, provvisorio, ma anche in deroga, in proroga, pro tempore, ad interim, fantasma, di transizione, per il disbrigo degli affari correnti, Ursula, incaricato. Perché questo, ora, è un governo IN CARICA: è operativo e nel pieno delle sue funzioni.
Basta anche con il governo vacante, balneare, monocolore, bicolore, di minoranza, dell’astensione, della non sfiducia, con appoggio esterno, a staffetta, con contratto, del cambiamento, del meno peggio; che preferisce una crisi al buio piuttosto che quella pilotata.
Avrà pieni poteri? Si dimostrerà (in)competente? Mah, chi può dirlo. Di sicuro, con l’imminente nomina dei sottosegretari e viceministri, sarà completo. Questo, in fin dei conti, è un governo di tutti. Anzi, ci vogliamo rovinare: è un Governissimo! Massì. Come diceva Totò: “Abbondandis abbondandum”.
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