Carcere minorile e comunità, quali sono le differenze?

Informazioni e risorse sul carcere minorile e sulle comunità che si occupano dei giovani coinvolti nel sistema penale.

Foto Juanmonino @Canva - newsby.it
Newsby Dalma Bonaiti 22 Agosto 2023

Dagli anni ’80, in Italia sono stati creati gli Istituti penali per minorenni, una sorta di prigioni per piccoli delinquenti. Stanze condivise da due o tre ragazzi e spazi comuni dove svolgere attività educative e ricreative.

Al momento, ci sono 17 di questi “strutture” speciali, di cui uno completamente riservato alle ragazze. A giudicare i giovani, solitamente colpevoli di furti, rapine o sregolatezze con le droghe, ci sono i Tribunali per i minorenni, accompagnati da un entourage di esperti sociopedagogisti.

Secondo i numeri del Ministero della Giustizia, nel 2022 erano presenti ben 316 minori negli Istituti penali per minorenni.

Tra le eccellenze in questo settore, troviamo l’Istituto penale minorile di Milano chiamato “Beccaria”. Questa si trova nella periferia di Milano a Bisceglie e ha sempre goduto di una reputazione impeccabile. Tuttavia, negli ultimi tempi ha perso un po’ della sua gloria a causa di lavori di ristrutturazione che ne hanno invalidato una sezione.

Secondo un recente rapporto dell’Associazione Antigone chiamato “Ragazzi Dentro”, le prigioni per minori sono generalmente meglio delle prigioni degli adulti. C’è tutto un mondo di differenze: camere suddivise in sezioni, con spazio da una o tre persone e con servizi igienici. Sono previsti spazi comuni indispensabili ma funzionali come la mensa e la scuola. Esistono anche strutture con un giardino con campi da calcio e rugby.

Carcere minorile o comunità: quale approccio è più efficace

I dati sulle ragazze o giovani donne chiuse negli Istituti penali per minorenni nel 2021 hanno rivelato che la maggior parte di loro erano straniere. I minori detenuti, con un’età compresa tra i 14 ei 17 anni, rappresentano solo una parte della popolazione carceraria, che nel gennaio 2022 contava ben 131 individui. Dobbiamo anche considerare che grazie alla legge n. 117 del 2014, i minori possono rimanere nel circuito penale per giovani fino a 25 anni, alzando così l’età limite da 21 a 25 anni. Quindi, aggiungendo i giovani tra i 18 ei 24 anni, il totale dei giovani detenuti sale a 185.

Un ragazzo con le manette appeso alle sbarre di un carcere
Foto rattanakun @Canva – newsby.it

Ma a differenza degli adulti, se i minori non hanno precedenti penali o se commettono reati meno gravi, non vengono condannati e incarcerati. Al massimo, finiscono in prigione per qualche mese in attesa del processo, una sorta di prevenzione.

Secondo il rapporto di Antigone, ben il 75,8% dei giovani entrati in prigione nel 2021 si trovavano in custodia cautelare. Inoltre, il sistema non si basa solo sulla prigione come unica soluzione, ma pone un’enorme attenzione alle comunità di recupero. Nel 2021, circa la metà dei ragazzi provenienti dagli istituti penali minorili sono stati inseriti nelle comunità, un modo per farli uscire un po’ dal guscio prima di un improvviso ritorno al mondo esterno.

I minori detenuti spesso finiscono in comunità poiché il giudice opta per la decisione di sospendere il procedimento penale a loro carico e, in collaborazione con i servizi sociali e gli operatori delle comunità, cercano di implementare un progetto educativo di “messa alla prova”. Sempre secondo i dati del 2021, 325 ragazzi sono entrati in comunità nell’ambito di questa misura.

La “messa alla prova” rappresenta un’alternativa al carcere per i minori, volta a stimolare una riflessione sulle loro azioni. Dal punto di vista legale, questo percorso prevede l’esecuzione di attività che permettono di monitorare periodicamente il comportamento del minore. Se il percorso si conclude in modo positivo, il reato commesso viene considerato estinto e non viene registrato nel casellario giudiziale del minore, comunemente noto come fedina penale.

Sara Bigatti, coordinatrice pedagogica della Comunità Arizona nel quartiere di Gratosoglio a Milano, attualmente casa di dieci ragazzi, di cui tre in detenzione precauzionale e uno in messa alla prova, spiega che i progetti educativi presentati dai professionisti al Tribunale dei minori sono personalizzati. “Questo percorso mira a ricostruire l’identità del ragazzo, lavorando in modo significativo sulle disfunzionalità associate al comportamento deviante. Partiamo dalle motivazioni che hanno portato a tale comportamento, ponendo al centro i desideri e le prospettive future dei minori”, dichiara.

Le ragioni per cui i ragazzi finiscono in carcere e successivamente in comunità, principalmente a causa di furti o rapine, sono spesso legate al contesto familiare in cui sono cresciuti. “Essi sviluppano un senso di ribellione dovuto alle aspettative opprimenti dei loro genitori”, afferma Bigatti.

Carcere minorile e comunità: le alternative per il cambiamento sociale

Nel corso del primo decennio degli anni Duemila, i giovani che arrivavano alla comunità Arizona erano principalmente minori stranieri non accompagnati. Tuttavia, la situazione attuale è molto diversa: ora accogliamo sia giovani italiani che stranieri di seconda generazione, i quali affrontano essenzialmente le stesse problematiche. I figli degli immigrati si sentono sotto pressione nel seguire una condotta corretta poiché sono consapevoli del grande sforzo compiuto dai loro genitori per integrarsi. Dall’altro lato, i giovani italiani vivono male le aspettative tipiche di molti genitori con figli adolescenti. Secondo la mia esperienza, le ragioni che spingono i minori a commettere reati possono essere legate anche alla necessità di conformarsi agli standard imposti dalla società, ai quali la famiglia non può sopperire per vari motivi.

Le famiglie, se lo desiderano, possono giocare un ruolo fondamentale nel percorso dei giovani nelle comunità. Questo percorso comprende l’ambito scolastico, l’esperienza di stage lavorativo, un supporto psicologico e, se necessario, un intervento specifico in relazione all’uso di sostanze stupefacenti. Le famiglie hanno la possibilità di incontrare i loro figli dopo un certo periodo di permanenza in comunità, spesso in occasione di festività come Natale o Pasqua, oppure per festeggiare compleanni e trascorrere del tempo insieme al parco. Tuttavia, talvolta le famiglie non sono altrettanto collaborative e può capitare che decidano di non prendere i propri figli con sé. Questo può essere dovuto a motivazioni economiche, come ad esempio le spese per il viaggio fino alla comunità, come l’autostrada o la benzina. In altri casi, è necessario instaurare ancora una relazione costruttiva con alcune famiglie, che non si basi sulla colpevolizzazione del ragazzo per ciò che ha commesso, come sostiene Bigatti.

Durante le prime ondate di pandemia, la questione delle visite e del contatto con il mondo esterno e con la famiglia è diventata molto problematica. Secondo quanto riferito dall’Associazione Antigone, poche strutture hanno garantito il diritto a visite in presenza di durata sufficientemente prolungata, e la maggior parte ha attivato alcune misure solo per abbandonarle poco dopo a causa della mancanza di spazi adeguati.

In conclusione, è fondamentale che le comunità come quella dell’Arizona offrano un sostegno completo ai giovani che accolgono, mettendo a disposizione percorsi educativi, opportunità lavorative e il necessario supporto psicologico. È altresì importante che le famiglie collaborino attivamente in questo percorso e che vengano garantiti adeguati diritti di visita e di contatto con l’esterno. Solo così si potranno affrontare le sfide e costruire un futuro migliore per questi giovani.

Nella comunità educativa dell’Arizona, vengono organizzate numerose attività volte a preparare i minori per il loro ritorno nella società, sia dal punto di vista formativo che ricreativo. Tra queste attività vi sono la coltivazione dell’orto, la ciclofficina, il laboratorio di cucina e quello di hip hop.

I progetti di messa alla prova vengono immediatamente condivisi dai tribunali, il che riduce significativamente la probabilità che non abbiano successo. Tuttavia, non è un compito semplice: “La maggior parte dei ragazzi rispetta le disposizioni del Tribunale e prende una direzione diversa, mentre altri, sebbene in grado di soddisfare le richieste del giudice, fanno più fatica a modificare consapevolmente alcuni comportamenti che hanno portato alla devianza. Questo rende il lavoro molto impegnativo, ma nella nostra esperienza spesso porta a risultati positivi”, afferma Bigatti.

Tuttavia, la possibilità di offrire ai minori un’alternativa reale alla detenzione si scontra con una problematica persistente nel sistema di giustizia penale italiana, il cosiddetto codice Rocco, un insieme di norme redatte nel 1930 dal governo Mussolini che ancora oggi rappresenta una delle principali fonti del diritto penale in Italia. Da un lato, si cerca di affermare il ruolo pedagogico ed educativo della prigione nell’influenzare il futuro di un minore, ma l’approccio del codice Rocco è più repressivo e antiquato. A tal proposito, Antigone auspica una riflessione sulla necessità di un nuovo codice penale per i minori, che preveda reati più specifici e si basi su sanzioni riparative. Secondo Antigone, sarebbe un modo per promuovere una cultura diversa riguardo alla giustizia minorile, che ponga l’accento sull’educazione anziché sulla punizione.

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