Continuano gli scontri in Sudan. Secondo quanto riferito dall’assistente segretario generale Onu per gli Affari Umanitari, Joyce Msuya, nell’ultimo bilancio al Consiglio di Sicurezza, dall’inizio del conflitto sarebbero state uccise più di 450 persone. Mentre ne sarebbero state ferite oltre 4mila. Per via della mancanza di risorse, per uso militare o per i danni subiti, avrebbero chiuso almeno 20 ospedali. Durante il Consiglio, Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, ha dichiarato che il conflitto nel Paese “non deve essere risolto sul campo di battaglia”. Il segretario, secondo quanto dichiarato, sarebbe pronto a persuadere le due parti in conflitto per deporre le armi e arrivare ad un negoziato. Le Nazioni Unite hanno fatto sapere di aver “riconfigurato la loro presenza in Sudan per proteggere il nostro personale e le loro famiglie durante la permanenza, pur continuando a sostenere il popolo sudanese”. A rimanere nel Paese, perciò, una sola delegazione guidata dal rappresentante speciale Volker Perthes.

Cosa sta succedendo nel Paese
Dopo l’evacuazione dei connazionali italiani dal Sudan portata a termine dall’esecutivo Meloni, e condotta anche da altri Paesi europei, la situazione nell’area sembra poter peggiorare da un momento all’altro. Infatti, secondo Guterres, il conflitto in corso potrebbe non solo destabilizzare l’intera regione, ma anche portare ad una crisi più profonda con effetti a lungo termine. Il segretario generale dell’Onu, inoltre, ha chiesto alle due parti coinvolte nel conflitto di arrivare ad una cessazione delle ostilità, e rispettare la tregua di 72 ore stipulata grazie alla mediazione americana. Il conflitto vede in opposizione la giunta militare golpista di Khartum, e il gruppo paramilitare delle Forze di Supporto Rapido.
A Khartum, dove la situazione per ora sembra calma, 1.200 persone sono state evacuate, ha dichiarato Perthes, collegato con Consiglio in videoconferenza da Port Sudan. “Non abbiamo abbandonato il Sudan. Continueremo a essere presenti nel paese, anche se in numero minore, ma concentrati sulle priorità”, ha specificato. Tra le persone ad aver lasciato il Paese, 744 lavorano per l’Onu: a queste si sono aggiunte dipendenti di varie Ong.

Sbarco in Arabia
Nel frattempo continuano gli sbarchi in Arabia Saudita. Come confermato dallo stesso ministero degli Esteri saudita, un’altra imbarcazione con 1.687 civili in fuga ha raggiunto le coste del Paese. In questi dieci giorni di conflitto, tuttavia, l’Arabia Saudita ha già dato asilo a diversi civili in fuga, diplomatici e funzionari stranieri, giunti via mare o via terra. L’ultimo sbarco, sempre secondo quanto riportato da fonti ministeriali, rappresenta il più grande sforzo di salvataggio finora compiuto dal Paese.