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Usa verso l’abolizione della pena di morte? Sette casi lo fanno ipotizzare

Ci sono sette casi giudiziari negli Stati al centro dell’attenzione mediatica perché potrebbero indirizzare il Paese verso una svolta storica. E cioè l’abolizione a livello federale della pena di morte. A darne notizia è il New York Times, che in questo articolo parla di sette cittadini condannati o accusati di gravi reati, tutti accomunati da un unico fattore: la morte delle loro vittime. Dunque casi potenzialmente punibili con la pena capitale, che alcuni Stati a stelle e strisce hanno già abolito.

La pena di morte dopo l’era Trump

Come spiega il Nyt, per tutti e sette il Dipartimento di Giustizia americano, sotto la presidenza di Donald J. Trump, aveva dato disposizione ai rispettivi procuratori federali di chiedere la condanna a morte degli imputati qualora fossero stati riconosciuti colpevoli. Le esecuzioni federali, inoltre, erano riprese proprio sotto la presidenza Trump dopo una sospensione di quasi vent’anni. Negli ultimi sei mesi del tycoon alla Casa Bianca, le autorità federali hanno eseguito ben 13 condanne a morte, di cui tre negli ultimi giorni di mandato.

Ora, però, sotto la presidenza di Joe Biden, la tendenza è ben diversa. Il nuovo procuratore generale degli Stati Uniti, Merrick B. Garland, nominato da Biden, a inizio mese ha infatti annunciato una moratoria sulle esecuzioni negli Usa, disponendo una revisione di tutti i casi a livello federale. Inoltre, il Dipartimento di Giustizia ha dato mandato ai procuratori di ritirare le richieste di pena di morte per tutti e sette gli episodi finiti sotto alla lente d’ingrandimento.

I sette casi federali nel mirino

Episodi che vanno dalla Florida alla Louisiana, passando per Syracuse (Stato di New York) e Detroit. E che riguardano criminali di ogni tipo. C’è ad esempio il caso di William D. Wood Jr., che ha ucciso due impiegati di un ristorante durante una rapina a mano armata nel locale. Il caso di Wood, però, è particolare, in quanto l’imputato soffre di problemi psichici, che lo rendono non condannabile a morte.

Oppure il caso dell’uzbeko Sayfullo Saipov, che nel 2017 ha ucciso otto persone fiondandosi sulla folla a Manhattan a bordo di un camion. Secondo l’accusa, Saipov avrebbe realizzato l’attentato con l’obiettivo di arruolarsi nell’Isis. C’è poi Dylann Roof, il suprematista bianco autore della strage di afroamericani del 17 giugno 2015 a Charleston.

Dzhokhar Tsarnaev, invece, è accusato di aver preso parte all’attentato alla maratona di Boston nel 2013 (tre morti e 260 feriti). Ma c’è anche il caso dell’ex soldato Victor Everette Silvers, ritenuto il colpevole dell’omicidio dell’ex moglie. Infine, un uomo che ad Anchorage ha ucciso due ladri entrati nella sua abitazione e il presunto membro di una gang accusato di duplice omicidio.

Pena capitale, Usa verso la svolta storica?

Da quanto è diventato procuratore federale, inoltre, Garland non ha autorizzato alcuna richiesta di condanna alla pena capitale. Secondo alcuni osservatori, questo trend potrebbe quindi far sperare in una possibile abolizione a livello federale della pena di morte da parte dell’Amministrazione Biden. Il che sarebbe una decisione senza precedenti per gli Usa.

“Non so in che direzione si stia andando”, commenta al Nyt l’avvocato Lisa Peebles, che difende William Wood. “Ma continuo a sperare – aggiunge – che si vada verso una moratoria e un’eventuale abolizione della pena di morte”. Sulla stessa lunghezza d’onda l’avvocato David E. Patton, legale dell’uzbeko Saipov. Patton ha annunciato che il suo cliente è pronto a dichiararsi colpevole e a scontare l’ergastolo se la sua condanna a morte dovesse essere definitivamente cancellata. Come peraltro già avvenuto in altri tre dei sette casi.

Il rovescio della medaglia: protestano le vittime

Negli Usa, però, non tutti sarebbero felici di un’eventuale abolizione della pena di morte. Non lo è ad esempio Michael Rushford, presidente della ‘Criminal Justice Legal Foundation’ di Sacramento, in California. La sua associazione offre supporto alle vittime della criminalità e Rushford ritiene la decisione di Garland pericolosa. “Le famiglie delle vittime di omicidio – dice – chiaramente non sono considerate”.

Alessandro Boldrini

Classe 1998, laureato in Scienze Umanistiche per la Comunicazione alla Statale di Milano, sono giornalista pubblicista dal 2019. Mi occupo di cronaca nera, giudiziaria e inchieste sulla criminalità organizzata. Ho mosso i primi passi nella cronaca locale, fino a collaborare con il quotidiano statunitense The Wall Street Journal. Sono un attivista antimafia e partecipo come relatore ad assemblee pubbliche sul tema al fianco di magistrati ed esperti del settore. Amo il calcio, la musica, il cinema e la fotografia.

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