L’escalation di violenza nella regione del Nagorno-Karabakh, ufficialmente parte della Repubblica dell’Azerbaigian, preoccupa ogni giorno di più le autorità internazionali. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu e il segretario generale Antonio Guterres hanno richiamato i governi di Azerbaigian e Armenia invitandoli a cessare il fuoco il più presto possibile e ad avviare nuovamente i negoziati. Il timore delle Nazioni Unite è che il conflitto, che vede le sue radici all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica, possa ampliare i propri confini. La ripresa delle ostilità ha già causato diverse vittime tra i civili.
La situazione resta estremamente delicata. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero Ilham Aliyev continuano ad accusarsi a vicenda, frustrando ogni tentativo di fermare le ostilità. Il risultato, purtroppo, è un bilancio di circa 3mila morti e 2mila feriti fra i due eserciti (secondo fonti armene e azere). Di 17 morti e oltre 60 feriti il bilancio tra i civili.
Perché si combatte nel Nagorno-Karabakh
Il Nagorno-Karabakh è una regione interna all’Azerbaigian, senza sbocco sul mare, non lontana dall’Armenia (circa 50 chilometri il confine più vicino). Sin dal 1994, al termine della prima fase di un conflitto esploso nel 1992, poco dopo la dissoluzione dell’Urss, è sotto la forte influenza delle forze separatiste armene. Il risultato è che, ad eccezione della parte settentrionale corrispondente alla regione dello Shahumian, è controllata dalla Repubblica dell’Artsakh, un governo de facto non riconosciuto né dall’Azerbaigian né tantomeno dalla comunità internazionale. L’escalation di violenza è periodicamente riesplosa nei 26 anni successivi. La soluzione sembra ancora piuttosto lontana.
Ilham Aliyev, presidente dell’Azerbaijan, ha dichiarato a Rossija 1 (la tv di stato russa) che Baku ha intenzione di lavorare verso un negoziato ma il governo armeno sta facendo ostruzione. “Il primo ministro armeno dichiara pubblicamente che il Karabakh fa parte dell’Armenia, punto – ha detto -. Di che processo di pace, di che negoziati stiamo parlando?”. Aliyev ha poi aggiunto che secondo i principi stabiliti dal cosiddetto ‘Gruppo di Minsk’ (componente diplomatica dell’Osce che lavora dal 1992 per la risoluzione del conflitto), “i territori attorno all’ex regione autonoma del Nagorno-Karabakh dovrebbero essere trasferiti all’Azerbaigian. Se il loro primo ministro dice che la regione fa parte dell’Armenia e che dobbiamo negoziare con il governo fantoccio del Nagorno-Karabakh, è il primo a non rispettare una trattativa in piedi da vent’anni“.
La risposta di Nikol Pashinyan alla stessa tv russa non è stata più accomodante. “Resta difficile parlare di negoziati, con operazioni militari specifiche in corso. Servirebbe un compromesso. Può arrivare solo se l’Azerbaigian porrà termine alla politica di aggressione. Il nostro Paese si sente minacciato. Percepiamo questo conflitto come una guerra contro tutto il popolo armeno. Un popolo che si sente costretto per autodifesa a rispondere con le armi”.
Il ruolo della Turchia nel conflitto
Nelle ostilità fra le due repubbliche ex sovietiche ricopre un ruolo non marginale anche la Turchia, alleata dell’Azerbaigian. Un Paese i cui rapporti con l’Armenia, partendo dal mancato riconoscimento del genocidio perpetrato dall’allora Impero Ottomano tra il 1915 e il 1916, sono da sempre deleteri.
Proprio il governo armeno ha denunciato il coinvolgimento turco. “Secondo le informazioni a nostra disposizione, la Turchia sta cercando giusto un pretesto per ampliare il suo ruolo nel conflitto” ha tuonato alla tv russa Pashinyan. Fonti militari armene hanno dichiarato che un loro SU-25 è stato abbattuto da un F-16 turco decollato dall’Azerbaigian. Il pilota del velivolo non sarebbe riuscito a salvarsi. L’accusa, però, è vigorosamente respinta dal governo turco. Per il portavoce del premier Recep Tayyi Erdogan, Fahrettin Altun, si tratta di “propaganda fantasiosa”.
Lo stesso Erdogan, però, aveva invitato nei giorni scorsi l’Armenia a desistere dal conflitto, e il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu aveva confermato l’alleanza turco-azera “sul campo di battaglia e al tavolo dei negoziati”. Gli ufficiali armeni hanno poi lanciato un’altra grave accusa contro la Turchia, quella di inviare nella regione combattenti (i cosiddetti foreign fighters), armi e aerei dalla Siria. Altra accusa respinta dal governo di Ankara.
La posizione della comunità internazionale
La situazione nel Nagorno-Karabakh preoccupa ben oltre i confini di Armenia e Azerbaijan. La cancelliera tedesca Angela Merkel, secondo quando confermato dal suo portavoce Steffen Steibert, ha chiamato entrambi i leader al telefono, spingendo per un immediato cessate il fuoco e per una soluzione pacifica.
Il segretario di stato degli Usa, Mike Pompeo, ha confermato anche da parte del suo Paese la linea dell’Onu. “Entrambe le parti devono mettere un freno alla violenza e tornare ai negoziati il più presto possibile” ha dichiarato.
Anche la vicina Russia, che compone il ‘Gruppo di Minsk’ assieme a Francia e Stati Uniti, ha invitato le due parti a risolvere pacificamente il conflitto, appellandosi anche alla Turchia. “Richiamiamo tutti i Paesi coinvolti, soprattutto i nostri alleati come la Turchia, a fare di tutto per convincere le parti in causa a cessare il fuoco e tornare a risolvere con mezzi politico-diplomatici la questione” ha dichiarato Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino.
Il ruolo neutrale dell’Italia
Anche l’Italia, come gran parte della comunità internazionale, ha assunto una posizione neutrale. L’ambasciatrice armena in Italia, Tsovinar Nambardzumyan, ha dichiarato a tal proposito ad Adnkronos: “L’Armenia apprezza la posizione equilibrata della leadership italiana e dei nostri partner internazionali che hanno espresso il loro sostegno e hanno chiesto la fine delle ostilità. Il governo italiano è ben consapevole che la situazione nella nostra regione è delicata. Ci auguriamo che l’Italia continui a sostenere nelle sue dichiarazioni e azioni la soluzione pacifica del conflitto del Nagorno-Karabakh. Il tutto nel quadro della co-presidenza del Gruppo di Minsk dell’Osce”.
Con l’Azerbaigian, invece, è stata firmata di recente una serie di accordi bilaterali, tra i quali quello sul Tap, il gasdotto in grado di rifornire l’Italia del gas proveniente dal Paese ex sovietico. Accordi presentati ufficialmente lo scorso 20 febbraio, quando il presidente azero Aliyev si recò in visita a Roma, incontrando il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Anche il capo di stato azero riservò un plauso all’Italia per la posizione di equilibrio sulla questione Nagorno-Karabakh.