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MONDO

Afghanistan, torna l’inferno: giovani e soldati in fuga, ucciso un reporter

In Afghanistan è tornato l’inferno. L’escalation di violenza delle ultime settimane ha infatti acuito l’instabilità nel Paese, dal quale giovani e soldati governativi continuano a fuggire. È notizia di oggi il ritrovamento di sei minori afghani fra i 16 e i 17 anni, scoperti in un camion arrivato in un’azienda logistica di Desio, in Brianza.

L’odissea dei sei ragazzini è iniziata alcune settimane fa, quando sono partiti da Kabul percorrendo i primi 4mila chilometri fino a Cluj-Napoca, al confine fra la Romania e l’Ungheria. Poi gli ultimi 2mila chilometri dalla Romania all’Italia, che i giovani hanno percorso nascosti fra centinaia di scatole di ricambi per automobili. Sul posto sono giunti i carabinieri, che hanno dato loro acqua e cibo prima di accompagnarli in caserma per l’identificazione.

Afghanistan, l’avanzata dei talebani

Ma la fuga di massa dall’Afghanistan non riguarda solo giovani che scappano da un futuro fatto di fame e miseria. Ci sono anche tanti soldati governativi, diretti a Nord verso il Tagikistan. I soldati sono costretti a lasciare il Paese a causa dell’avanzata dei talebani, che stanno via via riprendendo il controllo della nazione dopo l’addio delle truppe alleate. Dopo vent’anni, gli eserciti degli Usa e di altri Stati occidentali (tra cui l’Italia) hanno lasciato le loro basi militari per favorire lo sviluppo di un processo di autodeterminazione.

Il cessate il fuoco a due condizioni

Di cui però, al momento, non si vede nemmeno l’ombra. Il ritiro delle truppe straniere, infatti, per ora non ha lasciato dietro di sé altro se non un’impennata degli scontri, delle violenze e dell’instabilità. Le milizie talebane hanno ad esempio preso il controllo del lato afghano del valico di Spin Boldak, al confine con il Pakistan, costringendo quest’ultimo a chiuderlo. Intanto, arrivano anche le prime richieste dei talebani, che hanno proposto al Governo di Kabul un cessate il fuoco di tre mesi a due condizioni.

La prima, il rilascio di 7mila prigionieri; la seconda, la rimozione dell’organizzazione dalla lista nera delle Nazioni Unite. Eppure, i colloqui per un accordo pacifico finora non hanno portato ai risultati sperati. Basti pensare che, dall’inizio dei colloqui, la liberazione di 5mila detenuti “non ha aiutato a migliorare la situazione, anzi ha aumentato la violenza”. A confermarlo è stato Nader Naderi, uno dei negoziatori incaricati da Kabul di trattare con il gruppo politico dei talebani in Qatar.

Ucciso il reporter Danish Siddiqui

Le violenze in Afghanistan, comunque, non risparmiano nemmeno i civili. Ieri è stato infatti ucciso il reporter e fotografo dell’agenzia Reuters Danish Siddiqui, vincitore del premio Pulitzer per la fotografia nel 2018 grazie ai suoi servizi sui rifugiati Rohingya. Siddiqui era ‘embedded’ nelle forze di sicurezza afghane da meno di una settimana e stava seguendo gli scontri con i talebani nei pressi di un valico di frontiera con il Pakistan.

Afghanistan, le reazioni estere

E in tutto ciò, cosa stanno facendo gli altri Stati? Mentre la Turchia punta a sfruttare la situazione per accrescere il suo peso internazionale, la Russia ‘punzecchia’ gli Stati Uniti. Secondo quanto riporta la Tass, il ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, parlando del ritiro delle truppe americane ha affermato che il presidente Usa Joe Biden “naturalmente ha cercato di dipingere la situazione con i colori più positivi possibili, ma tutti capiscono che la missione è fallita”.

Una timida, quanto generica, presa di posizione arriva invece dai ministri degli Esteri dei Paesi membri della Shanghai Cooperation Organization (Sco). In una dichiarazione congiunta hanno detto di sostenere lo sviluppo dell’Afghanistan come “Stato indipendente, neutrale, unito, pacifico, democratico e prospero. E ancora: “Esortiamo tutti gli Stati interessati e le organizzazioni internazionali a rafforzare la loro cooperazione, affidando alle Nazioni Unite il ruolo centrale di coordinamento, al fine di stabilizzare e sviluppare il Paese”.

Alessandro Boldrini

Classe 1998, laureato in Scienze Umanistiche per la Comunicazione alla Statale di Milano, sono giornalista pubblicista dal 2019. Mi occupo di cronaca nera, giudiziaria e inchieste sulla criminalità organizzata. Ho mosso i primi passi nella cronaca locale, fino a collaborare con il quotidiano statunitense The Wall Street Journal. Sono un attivista antimafia e partecipo come relatore ad assemblee pubbliche sul tema al fianco di magistrati ed esperti del settore. Amo il calcio, la musica, il cinema e la fotografia.

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