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Giornalisti italiani bloccati a Kiev: “Siamo a rischio, da autorità ucraine nessuna risposta”

I giornalisti italiani Andrea Sceresini e Alfredo Bosco sono bloccati a Kiev da 16 giorni, perché accusati di essere filorussi. “Il 6 febbraio, mentre stavamo lavorando a Bakhmut, abbiamo ricevuto un messaggio da un fixer che ci diceva che non voleva lavorare con noi perché gli era stato riferito dai servizi di sicurezza ucraini che il nostro accredito da giornalisti era stato cancellato perché considerati collaboratori del nemico“, racconta Bosco in un video. Senza gli accrediti, i giornalisti non possono operare in Ucraina e nemmeno recarsi nei luoghi interessati dal conflitto per riferire al resto del mondo quando avvenuto.

Siamo stati pazienti perché ci era stato detto dall’ambasciata che i servizi di sicurezza ucraini erano disposti a incontrarci per chiarire questa faccenda. Siamo stati disponibili per quattro giorni a Kramatorsk e poi ci è stato chiesto di spostarci a Kiev per rendere più facile ai servizi di sicurezza incontrarci e procedere con l’interrogatorio. In tutto questo tempo dalle autorità ucraine non c’è stata né una conferma né una risposta chiara“, aggiunge il giornalista indipendente.

“Circolate voci molto pericolose su di noi”

Sceresini sottolinea che “sono circolate voci molto pericolose, sulle chat locali si parlava di noi come spie russe. Alcuni fixer ci hanno persino messi in guardia nei confronti della situazione. Le accuse di essere propagandisti russi fanno male perché in passato abbiamo fatto inchieste in Donbass sui separatisti. Qua a Kiev la situazione è più tranquilla rispetto a Kramatorsk, dov’era piuttosto rischioso girare per le strade mentre circolavano certe voci su di noi, soprattutto a causa dei numerosi militari presenti in quella zona di guerra“, aggiunge. “Siamo soggetti a rischio per diverse ragioni: la prima è che la comunicazione tra forze dell’ordine, esercito e servizi di sicurezza non è così ovvia, quindi la possibilità che la nostra situazione possa essere fraintesa non è inesistente. In passato siamo stati arrestati due volte dai separatisti filorussi, quindi fa male essere sospettati di collaborare con loro” spiega Bosco.

Giornalisti italiani bloccati a Kiev: “Non graditi alla conferenza di Meloni e Zelensky”

Ieri c’è stata la conferenza stampa di Meloni e Zelensky, noi ci eravamo accreditati ma non siamo andati perché immaginavamo si parlasse anche di noi. A conferenza iniziata ci ha contattato la nostra ambasciata avvisandoci che anche se fossimo andati le autorità ucraine non ci avrebbero fatto entrare perché non gradivano la nostra presenza“, racconta Sceresini.

Il presidente Zelensky è consapevole della nostra situazione. A causa del silenzio delle autorità ucraine sul nostro caso siamo stati costretti a renderlo pubblico. Se l’Ucraina vuole aprirsi al mondo occidentale deve garantire a chi viene qui di poter lavorare e non togliere accrediti senza motivazioni e senza permettere alle persone coinvolte di poter chiarire la situazione“, aggiunge Bosco. “Se passa la cosa che possono vietare a due giornalisti di lavorare in base al fatto che siamo stati in Donbass, dove tra l’altro abbiamo fatto inchieste contro i separatisti e contro i russi, questo è un problema per il giornalismo in Ucraina. Queste cose accadono in Russia, l’Ucraina è un paese democratico e questa è l’occasione per dimostrarlo“, conclude Sceresini.

Fabrizio Rostelli

Romano, classe 1985. Giornalista e videomaker. Coordinatore della redazione di Roma di Alanews. Collaboro stabilmente con Il Manifesto realizzando approfondimenti che spaziano dalla cultura alla politica internazionale. Ho lavorato come corrispondente negli Stati Uniti per diverse testate ed emittenti televisive tra cui Fanpage, Adnkronos e La7. Ho seguito le elezioni presidenziali americane del 2016 e del 2020 tra New York e Washington.

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