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Germania, finisce l’era Merkel: sicuri che il bilancio sia positivo?

In Germania va verso il viale del tramonto l’era di Angela Merkel. In sella dal 22 novembre 2005, la cancelliera federale è il terzo politico più ‘longevo’ della storia tedesca, dietro solo a Otto von Bismarck ed Helmut Kohl. La differenza fra i tre (soprattutto in termini di risultati raggiunti) è, però, abissale. Ne è certo il The Economist, che in questo articolo mette in luce quali sono i punti oscuri dei governi che Angela Merkel ha guidato da 16 anni a questa parte. Vediamone alcuni.

La riflessione del settimanale britannico si apre con i cambiamenti epocali che Bismarck e Kohl hanno portato alla storia della Germania. Con le dovute puntualizzazioni sul periodo storico, il primo ha fondato un impero e inventato i primi sistemi pensionistici e sanitari d’Europa. Il secondo ha invece avuto il delicatissimo compito di favorire la riunificazione delle due Germanie; ma è stato anche colui che ha vigilato sul delicato processo di transizione dal marco tedesco all’euro.

La politica estera di Angela Merkel

I risultati di Angela Merkel, invece, sono più modesti. I principali riguardano la gestione delle crisi che la cancelliera si è trovata ad affrontare in questi 16 anni. Principalmente quella economica e quella pandemica. Saper traghettare un Paese attraverso un periodo di crisi, però, è ben altra cosa rispetto a gettare le basi per il futuro. Insomma, la gestione di una crisi non può (e non deve) prendere il sopravvento sullo spirito d’iniziativa. In politica estera, l’Economist ad esempio bacchetta Merkel per l’eccessivo appiattimento verso la Francia di Emmanuel Macron.

Poiché ciò potrebbe risultare nocivo per le strategie diplomatiche tedesche, oggi eccessivamente legate agli interessi francesi. I governi da lei presieduti, inoltre, non hanno mai investito con costanza nei settori della Difesa né tantomeno in politiche estere funzionali ad accrescere l’influenza politica della Germania. Poco è stato fatto anche sul piano dei rapporti diplomatici con gli alleati o altri partner stranieri. Ad esempio con Cina e Russia, con le quali l’esecutivo tedesco ha sempre mantenuto un basso profilo teso più che altro a non destabilizzare gli equilibri.

Ne sono un esempio gli accordi commerciali con Pechino; ma anche la strada spianata a Mosca per il ‘controllo’ delle riserve energetiche europee. Infine, nonostante il suo peso specifico importante in ambito europeo, Berlino ha ottenuto pochi risultati in termini economici e forse non ha fatto abbastanza la “voce grossa” ai tavoli delle trattative. Basti pensare che il primo e finora unico strumento finanziario messo a punto dall’Ue per tutti i Paesi membri è arrivato unicamente come risposta diretta alle conseguenze della pandemia di Covid-19.

I problemi irrisolti in Germania

Merkel lascia grossi nodi irrisolti anche sul piano della politica interna. Poco, ad esempio, è stato fatto nel campo delle infrastrutture. In questi anni – ricorda il periodico britannico – sono mancati grandi investimenti in particolare nel settore dell’industria digitale. Sul fronte del clima, invece, sono stati fatti pochi passi avanti nonostante i continui annunci di un cambio di rotta.

La Germania resta infatti il primo Paese dell’Unione per emissioni di CO2 pro capite. E a peggiorare la situazione ci ha pensato la stessa Merkel con la decisione di smantellare l’industria nucleare tedesca dopo il disastro di Fukushima del 2011. Carenze, inoltre, si registrano anche in ambito pensionistico. Il sistema tedesco avrebbe infatti bisogno di una riforma in vista del pensionamento della generazione dei baby-boomer prevista per la fine del decennio.

Verso un futuro di instabilità politica?

Infine, Angela Merkel lascia dietro di sé un quadro politico profondamente instabile. Stando alle proiezioni elettorali, infatti, nessun grande partito presente nell’arco parlamentare (nemmeno la ‘sua’ Cdu) sarà in grado di formare un esecutivo. Ci si avvia dunque verso una stagione di governi di coalizione in cui partiti di visioni completamente opposte saranno costretti a mediare.

Con il rischio, peraltro, di non avere una figura politica forte e carismatica a cui fare riferimento. Una situazione molto simile a quella italiana. E così la Germania rischia di rimanere bloccata in un pantano di interessi politici divergenti. Anche questa è l’eredità di Angela Merkel. Sicuri che il bilancio sia positivo?

Alessandro Boldrini

Classe 1998, laureato in Scienze Umanistiche per la Comunicazione alla Statale di Milano, sono giornalista pubblicista dal 2019. Mi occupo di cronaca nera, giudiziaria e inchieste sulla criminalità organizzata. Ho mosso i primi passi nella cronaca locale, fino a collaborare con il quotidiano statunitense The Wall Street Journal. Sono un attivista antimafia e partecipo come relatore ad assemblee pubbliche sul tema al fianco di magistrati ed esperti del settore. Amo il calcio, la musica, il cinema e la fotografia.

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