Dieci anni fa, il 22 luglio 2011, Anders Behring Breivik fu autore della strage di Utoya, in Norvegia. Persero la vita 77 persone, con l’unica colpa di avere ideali politici opposti all’odio di estrema destra che muoveva il killer scandinavo, nato nel 1979.
Il primo attacco fu con un’autobomba davanti al palazzo in cui si trovava l’ufficio del primo ministro Jens Stoltenberg. Nelle ore successive Breivik raggiunse l’isola di Utoya, dove era in corso un campus organizzato dalla sezione giovanile del Partito Laburista Norvegese. Vestito da agente, uccise decine di giovani, finché non arrivò la polizia a fermarlo.
Le commemorazioni di oggi in Norvegia sono state precedute da un intenso dibattito sulle conseguenze della strage di Utoya. E l’influenza che Breivik ha avuto nel mondo dell’estrema destra è stata analizzata in un rapporto del Centro di ricerca sull’estremismo di Oslo. Nel “manifesto” di 1518 pagine Breivik si definì il “salvatore del cristianesimo”.
L’ex primo ministro di allora, oggi Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg ha dichiarato: “L’odio è ancora là fuori”. Tuttavia, fortunatamente, l’eredità di Breivik non ha dato i frutti che il folle sperava. L’estrema destra in Norvegia non ha visto aumentare in dieci anni i sostenitori. E anche sui social, sebbene Breivik abbia un suo “seguito”, non è divenuto un simbolo.
I “lupi solitari” che si sono ispirati a Breivik non sono stati molti. Un attacco sicuramente collegato è stato quello di Monaco, nel 2016. Compiuto da un diciottenne tedesco di origine iraniana esattamente cinque anni dopo la strage di Breivik.
L’altro caso che viene in mente è quello di Brenton Tarrant. L’estremista di destra uccise nel marzo del 2019 cinquantuno musulmani in due moschee della Nuova Zelanda. Infine, negli Stati Uniti, le autorità hanno arrestato un agente della Guardia costiera per reati legati alle armi da guerra e alla droga. Secondo gli investigatori era un suprematista bianco. Aveva letto il testo di Breivik e stava pianificando un attacco.
Il 24 agosto 2012 i giudici hanno condannato Breivik a ventuno anni di carcere, la pena massima prevista dalla legge norvegese. I giudici lo hanno ritenuto “sano di mente e dunque penalmente responsabile”. Il carcere di massima sicurezza norvegese è molto diverso dai carceri europei, dotato di molti comfort.
Una scelta simbolica quella norvegese. Come a dire, di fronte a un simile odio non rinunciamo ai nostri valori. Tuttavia l’impatto di Breivik nella società è una ferita ancora aperta. In molti si chiedono come la progressista e multiculturale Norvegia abbia potuto produrre un simile mostro.
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