Un racconto di viaggio che nemmeno Alain Elkann. Ma al posto dei lanzichenecchi, incendi e blackout.
Un’estate fa. Non mi riferisco alla versione italiana di Une belle histoire, scritta da Franco Califano e poi cantata anche da Mina e dai Delta V. Mi riferisco all’ultima volta che sono sceso in Sicilia. Era letteralmente un’estate fa.
Mancavo dalla mia raggiante città da 9 mesi. Il mio record personale, da quando sono stato messo al mondo. Così tanto tempo che iniziavo a sentirne meno mancanza. Un po’ come nelle relazioni a lunga distanza, quando dopo qualche tempo dimentichi le fattezza dell’amata.
Ma l’amata devi pur sempre vederla, sennò che relazione è, e così decido di scendere nella mia Sicilia a godermi un pezzo d’estate. Per contingenze varie ho optato, poco saggiamente, per la fine di luglio.
Caso vuole che il 16 luglio il terminal A dell’Aeroporto di Catania brucia, con immensi disagi annessi. Io ho un volo che dovrebbe portarmi dalla Polonia alla mia raggiante città , ed ho anche la fortuna di volare il 25 luglio. Hanno annunciato che il terminal A dovrebbe rimanere chiuso fino a lunedì 24 luglio, con riapertura stimata per il giorno seguente. Da sempre mi descrivo come un ragazzo fortunato, roba che nemmeno Jovanotti, e questa ne è la conferma.
Dirotta su Trapani: la scoperta e l’arrivo dall’altra parte della Sicilia
Parto dalla Repubblica Ceca – dove vivo – alle sei del mattino. Alle nove sono in Polonia. Alle dodici circa ho il volo. Giunto in aeroporto scopro, leggendo sul tabellone delle partenze, che il mio volo non atterra a Catania ma a Trapani, al capo opposto della Sicilia. Non ho ricevuto nessun messaggio d’avviso, ma tutto sommato potevo aspettarmi ancora qualche disagio.
E così mi imbarco, puntuale, in un volo pieno di turisti. Ci sarà al massimo un’altra decina di siciliani come me, sul volo. Per il resto gente in pantaloncini, qualche giovane tatuato, io stolidamente con i jeans lunghi, di lanzichenecchi nemmeno l’ombra. Siamo già seduti ai nostri posti, ready to flight, quando ci avvisano che il volo partirà un’ora dopo, per troppo traffico aereo.
Attendiamo, voliamo, con un’ora di ritardo siamo a Trapani. Trentatré gradi all’ombra, quarantaquattro percepiti.

Fa caldino. Attendiamo una ventina di minuti in pista sotto il sole: i turisti sono presi bene e filmano dei voli militari che partono alla volta di non sappiamo di cosa. Mi chiedo se gli ucraini che hanno volato con noi, ché dalla Polonia giungono copiosi ucraini ché la Polonia è piena di ucraini come tutta quella parte d’Europa, si chiedano se hanno a che fare con la loro guerra. Io me lo chiedo ma penso di no.
Finalmente possiamo lasciare l’aeroporto, l’ottima protezione civile in una decina di minuti ci smista su un autobus di linea (autobus che sembra di quelli cittadini in stile ATAC a Roma o ATM a Milano) che ci dovrà portare a Catania. È il migliore dei mondi possibili, non v’è dubbio.
I turisti continuano ad essere presi bene, io penso che tutto sommato è andata bene ché entro breve sarò finalmente di nuovo nella mia raggiante città .
Da Trapani a Palermo ci stiamo un’oretta, passiamo per quella che sembra una statale. I turisti vedono il mare e gli viene l’acquolina in bocca come ai cani di Pavlov ed io penso che finalmente sono a casa e che privilegiato che sono che io a quelle immagini sono assuefatto.

Raggiungiamo Palermo, il traffico è scorrevole finché ad un certo punto tutto si blocca. Non possiamo entrare in autostrada, pare, causa incendi. Stiamo incolonnati una mezz’ora, finché il traffico si sblocca un po’. Entriamo in autostrada che sono le quattro e mezza o giù di lì. Chiedo al simpatico autista quanto tempo ci vorrà .
Stima tre ore e mezza o giù di lì, con una sosta dalle parti di Enna ché un’unica tirata può risultare pesante e con noi ci sono anziani e bambini. Per le otto, ad ogni modo, potremmo essere a Catania. Dispiace più che altro per i turisti che così hanno bruciato mezza giornata, che immagino avevano preventitato diversa, magari immersi nell’acqua che qualche decina di minuti prima ammiravano dal finestrino. Io a breve sarò a casa.
Ad un certo punto usciamo dall’autostrada, per entrare in autogrill. Non sono un esperto di geografia ma non mi pare Enna.
I turisti chiedono lumi all’autista, in inglese. L’autista spiega che dobbiamo fermarci, in italiano. Mi spiega che la strada è bloccata a causa degli incendi ed è meglio attendere all’aria aperta all’autogrill.
I turisti mi chiedono cosa succede, io spiego loro che dovremo attendere un po’ ché ci sono incendi lungo la strada e che staremo qualche decina di minuti in autogrill. Iniziano ad essere meno presi bene.
E si prendono ancor meno bene a scoprire che nell’autogrill tutta l’acqua potabile in bottiglia è finita ed il bar può fornire singoli bicchieri d’acqua calda, che sono pur sempre meglio di niente.
Da una parte all’altra della Sicilia, una Regione in balia degli incendi
Ripartiamo, dopo una mezz’ora, ché ci hanno detto che l’autostrada s’è sbloccata. Ma ci hanno mentito, dopo qualche km ci troviamo incolonnati, in uno scenario apocalittico: alla nostra destra strisce di fiamme, alla nostra sinistra campi.
Mi chiedo come ci potremmo salvare, semmai le fiamme arrivassero a noi.
I turisti non so cosa si chiedono, parlando in polacco fra loro. Suonano stupefatti e fotografano e mandano quelle immagini agli amici. Le prime immagini della loro vacanza siciliana non provengono da sotto l’ombrellone. Sono fermi in autostrada, a vedere la Sicilia bruciare e a chiedersi quando saranno a Catania.
Un’altra mezz’ora e riprendiamo a muoverci, con le fiamme che spariscono in lontananza. Non ne incontreremo ulteriori, ma vedremo attorno a noi lavori in corso che sembrano fermi da anni, mentre procediamo lungo un’unica corsia.

I pilastri dei ponti sono sorretti da impalcature d’acciaio, ma sembra tutto abbastanza pericolante.
E penso al ministro che vuole il ponte sul stretto, di cui noi siciliani sentiamo parlare penso da sempre. Ogni siciliano sente sin da bambino la storia del ponte che dovrebbe unirci all’Italia, mentre percorre l’isola in ore, tra autostrade fatiscenti e sistemi ferroviari ridicoli.
Perché, al netto dell’emergenza che sta devastando la mia terra (e che si propone è vero ogni estate, ma che con gli effetti del cambiamento climatico non può che intensificarsi) per raggiungere Catania da Trapani ci si mette tre ore e mezza in macchina e intorno alle cinque ore con i mezzi.
Nel nostro caso ci mettiamo sei ore e trenta complessive. Arriviamo, verso le nove e trenta.
I turisti sono estenuati e ben meno presi bene. Io giungo nella mia raggiante dopo una quindicina d’ore dalla partenza.
L’emergenza catanese e l’ammissione di Musumeci: “Paghiamo il cambiamento climatico”
A Catania centinaia di appartamenti sono senza elettricità e, conseguentemente, senza acqua. Non l’ideale, quando fuori ci sono oltre quarantasette gradi. Ma proprio a causa delle temperature molto elevate le centraline ed i cavi sotterranei si sono surriscaldati ed hanno cessato di funzionare, lasciando tantissimi catanesi senza energia elettrica.

E l’ex presidente della Regione Nello Musumeci (oggi ministro per la protezione civile e per le politiche del mare) è costretto ad ammettere: “Stiamo pagando da un lato il cambiamento climatico, al quale già da qualche anno avremmo dovuto guardare con maggiore attenzione, dall’altro lato un’infrastruttura che non appare assolutamente adeguata al nuovo contesto”.
E tra chi nega il cambiamento climatico e chi pensa al ponte la Sicilia brucia e la gente muore o, nella migliore delle ipotesi, perde tutto.
E penso ai turisti che, tornati a casa, mostreranno agli amici le foto degli incendi, al posto di quelle del mare.
E se qualcuno potrà rimanere affascinato da questa vacanza con un finestra sulla fine del mondo, penso a quelli che diranno a sette amici – come da not regola di marketing – che in Sicilia tutto sommato ci si può anche non andare.
Ma c’è chi pensa allo stretto. E che, alla fine, il caldo in estate c’è sempre stato.