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Test rapidi ai medici di base: “Se fatto prima avremmo retto urto”

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“Chi viene a fare i tamponi viene in uno studio vuoto, fuori dall’orario, dopo triage telefonico senza alcun rischio per altri pazienti o eventuali condomini”. Pierluigi Bartoletti, è vicesegretario della Fimmg, l’unica sigla dei medici di base che ha firmato l’accordo con il governo sui tamponi rapidi spaccando il fronte sindacale. “Non è obbligatorio per tutti i medici”, spiega Bartoletti, “ma deve essere garantito a tutti i cittadini sul territorio. A marzo un accordo del genere non aveva senso perché il Covid era nelle strutture, nelle Rsa. Oggi non è così il Covid è già nelle nostre case. Il problema è stato non aver previsto una cosa del genere. Se quest’accordo lo avessimo fatto a settembre avremmo una struttura territoriale in grado di reggere l’urto.

Per i medici di base la situazione è complicata

Solo pochi giorni fa un altro rappresentante sindacale dei medici di base si era fortemente sfogato. “Si perdona la prima volta, perché non si sapeva nulla, un cittadino normale può sperare che non arrivi la seconda ondata di Covid, ma chi è a capo doveva aspettarselo. La colpa è di chi doveva prevenire e non l’ha fatto. Oggi ci troviamo nella stessa condizione di marzo. Rispetto alla prima ondata l’unica cosa che è cambiata è che al momento almeno ci sono i dispositivi di protezione, ma l’organizzazione è peggiore“. Così Francesco Coppolella, rappresentante Nursind Torino, il sindacato dei medici, racconta la condizione del Piemonte. “Per dare una risposta concreta mancano 500 medici e qualche migliaio di infermieri, di posti letto ce ne vorrebbero un paio di migliaia. C’è una richiesta maggiore di ricoveri di bassa e media intensità, lo vediamo nei Pronto Soccorso. Siamo di nuovo soli“, concludeva Coppolella.

Redazione

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