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CRONACA

Le manifestazioni pro-Gaza continuano nei college americani

Non cessano le manifestazioni pro-Gaza: l’amministrazione aveva ordinato loro di sgomberare il cortile dove erano accampati da due settimane

Sta aumentando il numero di studenti che, nelle università degli Stati Uniti, hanno aderito alle manifestazioni contro la guerra in corso nella Striscia di Gaza.

Molti hanno piantato accampamenti di tende sui terreni del campus e circa 500 persone sono state arrestate dalla polizia in tutto il Paese. Fin dall’attacco di Hamas a Israele dello scorso 7 ottobre, nelle università americane sono state organizzate manifestazioni e altre forme di protesta, perlopiù in difesa del popolo palestinese, ma l’arresto di 108 manifestanti alla Columbia University di New York il 18 aprile ne ha suscitate di nuove e più partecipate.

Le manifestazioni sono state per lo più pacifiche, ma in alcuni casi ci sono stati scontri con la polizia: a Los Angeles 93 persone che hanno partecipato alla protesta dell’Università della California del Sud (USC) sono state arrestate per trespassing, cioè per aver occupato abusivamente uno spazio privato, l’Alumni Park, e l’università ha annullato la cerimonia di consegna dei diplomi di laurea, prevista proprio lì per l’inizio di maggio.

A Boston, in Massachusetts, 108 persone sono state arrestate per la protesta dell’Emerson College. Altre 34 sono state arrestate a Austin, dopo che la polizia si è scontrata con i manifestanti dell’Università del Texas.

In precedenza, lunedì, più di 40 studenti erano stati arrestati all’Università di Yale, in Connecticut, e più di 150 persone in relazione alla protesta della New York University.

Le manifestazioni pro-Gaza non cessano nelle università americane

Anche in altre università del paese sono stati compiuti diversi arresti: complessivamente le università in cui dalla scorsa settimana si è protestato sono 15. Rispetto al complesso della popolazione studentesca universitaria statunitense il numero di persone che stanno prendendo parte alle manifestazioni è piccolo, ma i media stanno dando grandi attenzioni alle proteste, perché nel giro di pochi giorni si sono estese a molti campus.

Secondo Omar Wasow, professore di scienze politiche all’Università di Berkeley, le proteste si stanno diffondendo grazie a un fenomeno sociale che possiamo paragonare a una “standing ovation”.

Non cessano le manifestazioni pro-Gaza all’interno dei college americani – EPA/CJ GUNTHER – Newsby.it

 

È come quando, dopo uno spettacolo teatrale, le persone più vicine al palco si alzano in piedi, spingendo anche gli altri a fare lo stesso. La Columbia University, essendo situata a New York, dove si trovano numerosi media nazionali, rappresenta i primi spettatori di questa “standing ovation”, rendendo così le proteste particolarmente visibili in tutto il paese.

La settimana scorsa, la rettrice della Columbia, Nemat Shafik, di origini egiziane e di fede musulmana, ha chiesto alle forze dell’ordine di sgomberare il prato del campus, sostenendo che l’accampamento degli studenti mettesse a rischio il regolare funzionamento dell’università. Questa decisione è stata presa dopo che Shafik si era recata al Congresso per testimoniare su come contrastare l’antisemitismo all’interno dell’istituzione.

Negli ultimi mesi, le rettrici di altre università di rilievo, come Harvard e Penn State, erano state convocate dal Congresso per questioni simili e poi si erano dimesse a causa delle pressioni esercitate da politici e da una parte della comunità ebraica americana, che riteneva non avessero adottato posizioni sufficientemente nette contro l’antisemitismo nelle loro istituzioni.

Al contrario, Shafik è stata fortemente contestata all’interno della Columbia per la gestione degli arresti della settimana scorsa: il senato accademico dell’università, composto da docenti, studenti e amministratori, sta considerando una risoluzione per accusarla di violare la libertà accademica e i diritti degli studenti.

La Columbia University ha attirato molta attenzione anche perché è frequentata da un gran numero di studenti di origine ebraica e alcuni di loro hanno espresso preoccupazione per possibili attacchi antisemiti da parte dei manifestanti, ma va notato che tra i protestanti ci sono anche studenti di origine ebraica.

Secondo Daniel Schlozman, professore di scienze politiche alla Johns Hopkins University intervistato dal New York Times, le proteste si sono estese da Columbia ad altre università negli Stati Uniti a causa delle profonde divisioni politiche che caratterizzano il paese in questo periodo.

La guerra a Gaza ha dimostrato di essere un argomento in grado di unire ulteriormente coloro che la sostengono e di dividerli maggiormente da coloro che la vedono in modo diverso.

Tuttavia, questo fenomeno sta principalmente beneficiando i Repubblicani, poiché tra i conservatori il sostegno a Israele è ampiamente condiviso.

Al contrario, i Democratici sono più divisi sulle questioni riguardanti Israele, e alcuni di loro sono sensibili alle accuse di antisemitismo rivolte ai manifestanti dai Repubblicani. Secondo l’analisi di Schlozman, per i Repubblicani, accusare i rettori delle università di non proteggere gli studenti ebrei dall’antisemitismo è un modo per amplificare le divisioni tra i Democratici, e stanno sfruttando questa situazione ampiamente.

Non è del tutto chiaro se la decisione di Shafik di richiedere lo sgombero dell’accampamento alla Columbia sia stata influenzata dall’audizione al Congresso. Tuttavia, la percezione derivante dalla copertura mediatica degli arresti suggerisce che l’intervento dei politici repubblicani abbia giocato un ruolo significativo. Questo potrebbe aver spinto molti studenti, anche coloro che simpatizzavano per le proteste ma non vi partecipavano attivamente, ad unirsi ai manifestanti.

Dopo gli arresti della settimana scorsa, le manifestazioni sono continuate e gli studenti, che protestano a favore del popolo palestinese, hanno nuovamente occupato il prato del campus della Columbia.

Nel frattempo, sebbene siano state organizzate proteste studentesche nelle università europee (e italiane) negli ultimi mesi, finora non hanno raggiunto lo stesso livello di partecipazione e attenzione mediatica riscontrati negli Stati Uniti.

Columbia University: sospensione degli studenti protestanti

Ieri pomeriggio la Columbia University ha cominciato a sospendere gli studenti che da due settimane occupavano il suo cortile con delle tende per manifestare contro la guerra israelo-palestinese.

L’amministrazione aveva dato loro qualche ora di tempo per decidere se lasciare l’accampamento o subire forti azioni disciplinari: gli studenti hanno votato per continuare con l’occupazione, e ora ne stanno subendo le conseguenze. Nella pratica, la sospensione implica un accesso limitato agli edifici universitari: aule, edifici accademici ma anche dormitori.

Non cessano le manifestazioni pro-Gaza all’interno dei college americani – EPA/CJ GUNTHER – Newsby.it

Da qualche giorno era in corso una trattativa tra i leader della protesta e l’amministrazione, che aveva però raggiunto un punto di stallo: per questo motivo lunedì mattina i manifestanti hanno ricevuto un comunicato in cui si leggeva che avevano tempo fino alle 14 di lunedì (le 20 italiane) per sgomberare l’accampamento in modo da permettere all’università di cominciare a organizzare la cerimonia di laurea che dovrebbe tenersi in quel cortile il 15 maggio.

Secondo il comunicato, gli studenti che non se ne fossero andati entro quell’orario sarebbero stati sospesi temporaneamente dall’università (anche se non si sa per quanto), perché “stanno creando un ambiente inospitale per i membri della comunità”.

A quelli che avessero lasciato le proteste sarebbe invece stato permesso di continuare a frequentare regolarmente l’università e di non subire alcun procedimento per l’occupazione, a patto di firmare un modulo in cui si impegnavano a non infrangere le regole di condotta della Columbia fino alla fine dell’anno accademico.

Non è ancora chiaro quante siano le persone sospese, poiché il gruppo di studenti ha votato a maggioranza, per alzata di mano, di continuare a occupare il prato anche dopo la scadenza fissata dall’università: alle 14 c’erano ancora un’ottantina di tende e una sessantina di manifestanti.

Sueda Polat, una delle leader delle proteste, ha detto che gli studenti si sarebbero mossi “solo se costretti con la forza”. Polat ha anche spiegato che le trattative si sono bloccate perché l’università si rifiuta di considerare una delle richieste centrali degli studenti, ovvero l’interruzione dei rapporti tra la Columbia e una serie di aziende che hanno legami particolarmente stretti con il governo o l’esercito israeliano.

Giulia De Sanctis

Laureata in Comunicazione e Valorizzazione del Patrimonio Artistico Contemporaneo, collaboro attivamente con riviste e testate web del settore culturale, enogastronomico, tempo libero e attualità.

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