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Coronavirus, medico Niguarda: “In ospedale non ci sentiamo protetti”

Le cifre dell’ultimo rapporto interno sui medici, gli infermieri e i tecnici che si sono ammalati di Coronavirus all’interno dell’ospedale Niguarda di Milano sono emblematici. Raccontando quello che è accaduto all’interno di una struttura d’eccellenza della sanità pubblica milanese, si apre uno scenario molto più ampio sul disastro prodotto dal COVID-19 in tutti gli ospedali italiani. Tra gli oltre 180 dipendenti sanitari risultati positivi al Coronavirus c’è anche la dottoressa Gerarda Izzo, tecnico sanitario di radiologia medica del Niguarda. “Durante i miei turni di lavoro sono quasi sempre stata esposta alla possibilità di contagio, stando a stretto contatto con i pazienti per effettuare esami radiologici nei vari reparti”, ha raccontato. “Mi sono resa conto di potere essere positiva al Coronavirus dal 16 marzo, però ho avuto l’esecuzione del tampone solo a distanza di una settimana”.

La denuncia della dottoressa del Niguarda: “Carenza dei dispositivi di sicurezza contro il Coronavirus”

“Ho avuto la sensazione di avere superato la soglia di sicurezza in più di un’occasione”, ha proseguito. “Anche perché ci potevano essere dei pazienti positivi al Coronavirus, ma non ancora conclamati. Avevo a disposizione solo una mascherina chirurgica mentre i pazienti erano sprovvisti di questo dispositivo e io sono stata esposta. Il protocollo aziendale prevede che un dipendente nel momento in cui sta a casa in malattia, prima di rientrare a servizio venga sottoposto a due tamponi a distanza di 24 ore l’uno dall’altro”.

“In questo momento devo restare ancora una settimana a casa, perché sono debolmente positiva, sperando di tornare presto a fare il lavoro che amo”. Durante il Coronavirus le difficoltà per quelli che lavorano in un ospedale, come quello di Niguarda, sono eloquenti: “Quello che si respirava in questi giorni è il fatto di non sentirsi protetti e presi in carico. Ho ricevuto due contatti con il mio medico di base; l’Ats mi ha chiamato un paio di volte e basta”.

Gerarda Izzo ci tiene a sottolineare che non si è trattato di una sfortunata coincidenza. “Il Coronavirus mi ha colpito per l’evidente carenza e inadeguatezza dei dispositivi di sicurezza a disposizione del personale sanitario, racconta la dottoressa Izzo. “Io non vedo mai la malafede di chi lavora come me, però nel mio caso il Coronavirus mi ha colpito proprio mentre ero in servizio nei reparti in cui c’erano casi positivi”.

Antonio Lopopolo

Videogiornalista sul campo. Seguo eventi di vario genere, dalla politica alla cronaca, fino all'economia e allo sport. Diplomato al master in giornalismo dell'università Iulm, precedentemente a Corriere della Sera e Sky Sport. Prima di trasferirmi a Milano ho collaborato per tre anni per Bisceglie24, testata giornalistica pugliese.

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