CRONACA

Coronavirus, la “caccia agli untori” non risparmia nemmeno i giornalisti

Fare per mestiere il video giornalista significa che, Coronavirus o meno, di casa si deve uscire. Lo si deve fare perché per raccontare una notizia bisogna essere sulla notizia, a differenza di chi scrive o fa desk e, come è giusto che sia di questi tempi, può lavorare serenamente da casa. In questo mese e oltre di Coronavirus sono uscita praticamente tutti i giorni, ma con la testa sulle spalle come richiede la situazione. Mascherine, guanti, distanze di sicurezza, rispetto della sensibilità della persona da intervistare. È uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo.

Oggi mi è successa una cosa spiacevole, che riprende quanto espresso perfettamente da un articolo di qualche giorno fa, titolato “Finalmente i mediocri hanno trovato la loro eccellenza: restare a casa meglio degli altri”. Il mio episodio ha come protagonista una di queste persone, un cacciatore di untori, uno sceriffo di quartiere che dal suo balcone giudica, magari filma con lo smartphone e sicuramente punisce chi si trova per strada.

Dopo aver montato un video in macchina, sono uscita per posare il treppiede nel baule, la telecamera ancora attaccata. In quel lasso di spazio e tempo tra la portiera e il retro dell’auto, uno sceriffo da balcone, per l’appunto, ha pensato che fosse utile per la sua causa tirarmi una secchiata d’acqua e urlarmi “Stai a casa untrice”. Per fortuna ha colpito me di striscio e non la telecamera. Mi è andata bene, l’attrezzatura costa e non cresce sugli alberi, nel caso i Texas Ranger non lo sapessero. Il tempo per vedere che io e soprattutto la mia fedele compagna di lavoro stessimo bene, alzati gli occhi il poliziotto mancato era sparito, non permettendomi nemmeno di capire da che piano del palazzo provenisse.

Ma non è questo il punto. Il punto è che non si può riassumere un atteggiamento del genere con la paranoia da pandemia. Certo la quarantena può far impazzire le persone, siamo animali sociali e questa situazione non è pensabile ancora a lungo. Serve un piano, una prospettiva, che arrivi prima di tutto dalla politica. Una politica che, in mancanza d’altro, si limita a incolpare i cittadini di non fare abbastanza, di non stare chiusi in casa. Li responsabilizza su qualcosa di cui non hanno responsabilità. E così giustificano, per lo meno nelle menti di chi si comporta così, gli sceriffi di quartiere. Vengono scritti articoli sulle percentuali di persone uscite per Pasqua e Pasquetta. Presidenti di Regione dicono che non si sta facendo abbastanza. E in contemporanea ai bollettini serali su decessi e guariti vengono comunicati i dati sulle multe effettuate dalle Forze dell’Ordine, quelle reali e non da balcone.

Ma è realmente questa la situazione? Dal mio punto di vista, il punto di vista privilegiato di chi sta vivendo la propria città ogni giorno per raccontarla, no. E sicuramente la soluzione non sono le secchiate d’acqua.

La raccomandazione, alla fin fine, resta sempre la stessa. Chi può resti a casa. Chi non può faccia attenzione. Soprattutto agli imbecilli.

Sara Iacomussi

Classe 1992, da ottobre 2018 è la corrispondente da Torino per importanti editori in veste di videogiornalista. Formata al Master in Giornalismo Giorgio Bocca, è professionista dal 2017

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