CRONACA

Coronavirus, la Cina come modello per retail e ristorazione

In futuro si parlerà di un’epoca pre e di una post coronavirus”. Parola di Dario Laurenzi, tra i più noti consulenti della ristorazione a Roma, in una recente intervista a “Gambero Rosso”. Con l’avvicinarsi della Fase Due, che prevede una graduale riapertura delle attività lavorative, ristorazione e retail saranno costretti ad adeguarsi, prendendo magari spunto dal modello cinese. Certo, in Italia non sarà altrettanto facile.

Con un mercato del lavoro molto meno “elastico” rispetto a quello cinese, il nostro paese sarà costretto a reinventarsi, a cambiare, per esempio, le proprie abitudini culinarie e stile di vita, favorendo il cibo d’asporto o gli acquisti online.

Coronavirus e la rivoluzione del settore “food”

Le decisioni sulla ripresa delle attività produttive e commerciali saranno pesate sulla base di tre criteri: la situazione epidemiologica, l’adeguatezza del sistema sanitario locale e la disponibilità dei dispositivi di protezione individuale. Nel settore della ristorazione c’è chi si è già organizzato: dalle “ghost kitchen” (con la cucina aperta solo per consegne a casa), alla trasformazione dell’attività precedente in Gourmet store (veri e propri negozi d’asporto).

Secondo quanto riferiscono gli esperti del settore, i produttori saranno costretti a rifocalizzare il proprio business, spostando la distribuzione sugli store di vicinato per il canale fisico, aprendosi poi al digital marketing per la vendita online. Proprio come in Cina, le nuove tecnologie saranno vitali per la filiera produttiva e riuscire ad utilizzarle con successo potrebbe consentire di rimanere a galla.

Manodopera flessibile e piattaforme online strategiche

L’esperienza cinese potrà essere d’esempio anche per il retail. Per esempio la Cosmo Lady, la più grande azienda di biancheria intima e lingerie cinese, ha deciso di trasferire le proprie vendite su WeChat, con il coinvolgimento di tutti i dipendenti. Per spronarli, ha creato una sorta di classifica mensile per stabilire chi vende di più, Ceo incluso. La differenza, quindi, la faranno soprattutto la resilienza e la capacità di adattarsi a un ecosistema digitale già esistente e pulsante.

L’Italia dovrebbe riuscire a seguire il medesimo modello ma con una premessa impossibile da ignorare: l’e-commerce cinese era, prima della pandemia di Coronavirus, molto meglio equipaggiato di quello italiano. La diffusione della Sars all’inizio del millennio, infatti, aveva già dato uno stimolo alle consegne a domicilio in Cina, contribuendo in modo significativo all’affermazione territoriale di catene quali Alibaba. Riuscirà l’Italia, patria dello spaghetto in riva al mare, della pizza in compagnia e del buon vino a vincere questa sfida?

Redazione

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