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La comunità dei bengalesi di Roma alza la voce e scende in piazza per chiedere che i propri diritti siano riconosciuti dalle amministrazioni italiane.
“Paghiamo le tasse, lasciateci aprire luoghi di culto. Non fateci lavorare in nero, dateci il permesso di soggiorno” recita il grande striscione rosso teso a Piazzale Esquilino, ai piedi della basilica di Santa Maria Maggiore, in occasione della manifestazione della comunità dei bengalesi promossa dall’associazione Dhuumcatu e dal comitato “Soggiorno per tutti”.
Dopo la preghiera del venerdì, occasionalmente fatta nella piazza, i bengalesi hanno spiegato i motivi della manifestazione: “Prima pagina della nostra lettera al Presidente della Repubblica Italiana. Apertura immediata di via Capua 4. Permessi di soggiorno per tutti i lavoratori, non solo domestici e agricoli. Intervenire immediatamente sui licenziamenti dai posti di lavoro avvenuti dopo una campagna di stampa diffamatoria nei nostri confronti. Questa situazione si è venuta a creare volontariamente contro i cittadini del Bangladesh“.
E c’è anche un altro punto molto caro alla comunità: “Immediatamente con risarcimento di danni, riportare indietro i bengalesi del volo dell’8 luglio con 13 bambini e cinque donne“. E proprio su questo punto si sofferma Nure Alam Siddique il segretario del comitato, meglio conosciuto come Bachcu.
“Abbiamo subito razzismo dalla istituzione pubblica. Non esiste che vengano respinti i cittadini del Bangladesh insieme a donne e bambini. Non è scritto nelle leggi, né nella Costituzione. Tanto più che siamo stati costretti a pagare una sanatoria dai 5000 ai 10.000 euro ai finti datori di lavoro” spiega il rappresentante dei bengalesi.
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